GOG – Blechatz incanta in Chopin

Si sono appena spenti i riflettori sull’ultimo Concorso Chopin di Varsavia, ed ecco sul palcoscenico del teatro Carlo Felice di Genova, per la stagione GOG, il pianista polacco Rafal Blechacz – al suo debutto nella nostra città – che nel 2005 si aggiudicò, proprio in questa prestigiosa competizione, tutti i premi in palio. Era davvero forte il desiderio, e la curiosità, di ascoltare dal vivo un artista di tale portata, pensando alla caratura di alcuni vincitori di questo concorso in anni più o meno recenti: cito, per tutti, Maurizio Pollini, Martha Argerich, Krystian Zimerman.

Sala abbastanza affollata, dunque, ieri sera, con un programma che più “classico“ non si può: Beethoven, Schubert, Chopin.

La Sonata nota come “Al chiaro di luna“ (il titolo le fu dato dall’editore, non da Beethoven) è stata resa da Blechacz con impeccabile correttezza, forse con un certo, voluto distacco, dando – a parere di chi scrive – l’impressione di un paesaggio sorvolato ad alta quota e non sufficientemente esplorato. Nel dettaglio cito il celeberrimo primo movimento, sobrio e privo di qualunque retorica, cui ha fatto seguito l’Allegretto, esposto con una grazia a tratti quasi scherzosa, per chiudere con un Presto agitato di vertiginosa esattezza, lontana da qualunque intento esibizionistico.

Dopo un Beethoven dalla temperatura emotiva volutamente contenuta non ha stupito una lettura schubertiana altrettanto neutra e, forse proprio per questo, alquanto di superficie. Gli stacchi di tempo sono sembrati, in tutti i quattro brani, più rapidi del dovuto: ne ha risentito in particolare il primo Improvviso, cui l’elevata velocità ha tolto buona parte della poesia che lo connota. Nel secondo, anch’esso affrontato con scioltezza forse eccessiva, l’articolazione, per quanto perfetta, è risultata puramente decorativa ma mai strutturale. Sulla medesima falsariga anche il terzo e il quarto brano della raccolta: dispiace che la correttezza, un po’ generica, di queste interpretazioni schubertiane non abbia consentito ai quattro Improvvisi di spiccare quel volo che ci attende da personalità artistiche di tale livello.

Una lezione interpretativa pari alle aspettative è invece emersa in tutti i brani chopiniani. Andando con ordine voglio ricordare la Barcarola, il cui andamento a tratti un po’ sbrigativo non ha mai dato la sensazione di frettolosità, ponendo nella giusta evidenza le frequenti iridescenze sonore scolpite con cristallina esattezza. Esemplare, a seguire, l’avvio della terza Ballata, che da subito ci ha portati “in medias res“, interamente condotta con dominio tecnico assoluto e autentiche prelibatezze timbriche. Dopo una “pausa di riflessione“ demandata alle tre Mazurke op. 50, presentate con capricciosa eleganza (le prime due) e dolente profondità (la terza), il recital si è concluso con il demoniaco Scherzo n. 3. Qui sono entrate in gioco le migliori fra le tante carte vincenti di Blechacz: grandi contrasti timbrici (esemplare la sonorità, davvero sulfurea, dell’incipit), doppie ottave infallibili, sbalzi emozionali come il clima aurorale che precede la chiusa tempestosa. Pubblico entusiasta, ricompensato con lo chopiniano Walzer Op. 64 n. 2 e, a furor di popolo, con un secondo bis, lo Scherzo dalla seconda Sonata di Beethoven, disegnato con una filigrana sonora davvero impareggiabile, in virtù di una freschezza atletica (e di pensiero) che di rado si concilia con la perfezione tecnica qui dispensata a piene mani.