Hemingway e Capa: scritti e scatti

Nell’anno in cui si celebra il sessantesimo anniversario dalla morte dello scrittore americano, lo ricordiamo con un primo approfondimento sulla sua attività giornalistica e sul suo incontro con Robert Capa durante il sanguinoso conflitto civile spagnolo degli anni ‘30

Hemingway è forse lo scrittore più fotografato di questo secolo. La sua immagine entrò in modo imponente nell’ambito dei mass-media, i fotografi arrivavano da ogni parte del mondo per ritrarre ogni momento della sua giornata, ogni angolo della sua casa, ogni oggetto connesso con la sua vita quotidiana e con il suo lavoro: lo scrittoio, la camera, i trofei di caccia…

La fotografia è connaturata alla vita di Hemingway: lo è già nella sua famiglia, nella sua adolescenza, nella sua amicizia con Bill Smith che scatta le istantanee delle sue prime battute di pesca, e lo sarà a Parigi, nell’incontro con Man Ray cui si devono alcuni fra i più bei ritratti dello scrittore.

Ma il rapporto più intenso fu con il fotoreporter ungherese Robert Capa: Hemingway lo conobbe proprio in Spagna nel 1937 e stabilì con lui una lunga amicizia che finì con la morte del fotografo saltato su una mina in Corea nel 1954. Da Capa si fece fotografare nel privato e sulle trincee, a pesca e in famiglia, con Gary Cooper e a tavola, alla scrivania e in ospedale, durante la guerra di Spagna e la Seconda guerra Mondiale… Si racconta perfino che sia stato proprio Hemingway a suggerire a Capa di aprire un’agenzia fotografica che sarebbe diventata poi la Magnum.

Sfogliando l’immensa mole delle immagini che la famiglia Hemingway ha depositato alla John Fitzgerald Kennedy Library di Boston, si nota che, anche in quelle relative alla Guerra Civile Spagnola (quasi sempre firmate da Robert Capa),  é possibile riscontrare una certa affinità tra alcuni scatti del fotografo ungherese e lo stile Hemingwayano, asciutto, rapido, incisivo.

 

Per quasi quarant’anni, tra il 1920 e il 1956, Ernest Hemingway svolse un’ intensa attività giornalistica da inviato speciale e corrispondente, accanto, naturalmente, alla sua principale attività di scrittore di romanzi. Aveva iniziato, non ancora ventenne, a collaborare con un giornale di Kansas City. Aveva inoltre già conosciuto la guerra da vicino, avendo combattuto durante la prima guerra mondiale sul fronte italiano ed era rimasto ferito, guadagnandosi la medaglia d’argento al valor militare. Nel 1937 Hemingway era già un affermato scrittore negli Stati Uniti quando accettò i pressanti appelli rivoltigli da più parti perché si recasse in Spagna a riferire sulla guerra, e divenne corrispondente per la North Newspaper Alliance (NANA), agenzia che riforniva sessanta giornali nordamericani. Che pensava Hemingway della guerra di Spagna all’inizio del 1937, poco prima cioè della sua partenza per l’Europa?

La sua posizione nei confronti della guerra era di tipo più umanitario più che decisamente politico.

Non privo di acume politico, affermava che quella lotta doveva interessare tutti perché “era una prova generale dell’inevitabile conflitto europeo”. Il suo ruolo in Spagna sarebbe stato quello di “corrispondente di guerra contrario alla guerra” e, come tale, avrebbe cercato di impedire che gli Stati Uniti si lasciassero coinvolgere.

Hemingway era solidale col popolo spagnolo perché lo vedeva debole e oppresso, aggredito da preponderanti forze armate nazifasciste. Ma, pur intuendo che la guerra di Spagna era un banco di prova per il militarismo di Hitler e Mussolini, serbava una certa diffidenza verso l’Unione Sovietica (anche se questa nazione era stata l’unica a dare subito un aiuto concreto alla repubblica spagnola) e difendeva la dottrina dell’isolazionismo americano.

Hemingway fu uno straordinario osservatore: si riscontra in tutti i suoi articoli — anche in quelli che si capisce benissimo essere stati scritti di fretta e non rivisti — il suo inconfondibile stile asciutto e stringato che raggiungerà la perfezione nei “Quarantanove racconti”. Egli tende all’ellisse, all’immagine complessiva, al colpo d’occhio illuminante e di grande impatto emozionale.

Fu sempre uno scrittore creativo anche nell’attività giornalistica: si servì del materiale raccolto adattandolo ai fini della propria immaginazione. Ciò non significa che non fosse un buon reporter; dimostrò infatti di intendersi di politica ed economia, di saper scovare le informazioni. Ma il suo mestiere era la narrativa e non il reportage obiettivo. E benché descrivesse le cose come le vedeva, i suoi scritti mostrano con particolare vivezza le sue impressioni ed emozioni di fronte agli eventi. Se i particolari erano talvolta trascurati, l’immagine complessiva era chiara, lucida, completa.

Ecco lo stralcio di un dispaccio inviato alla NANA il 14 aprile 1937 che racconta gli eventi immediatamente successivi ad un bombardamento su Madrid:

…Al mattino, prima che ti chiami il portiere, ti sveglia una fragorosa esplosione di una bomba ad alto esplosivo e tu vai alla finestra, t’affacci e vedi un uomo che, a capo chino e con il bavero della giacca rialzato, corre alla disperata sul selciato della piazza: C’è l’odore acre dell’esplosivo che speravi di non sentire mai più e, in vestaglia e pantofole, ti precipiti giù per le scale di marmo rischiando quasi di sbattere contro una donna di mezza età, ferita all’addome, che due uomini in camiciotto blu da operai aiutano a entrare in albergo: tiene le mani incrociate sotto il grande petto di spagnola all’antica, e il sangue le zampilla tra le dita in un rivoletto sottile…

A Madrid lo scrittore viveva all’Hotel Florida, uno dei più lussuosi della capitale spagnola, in cui si riunivano tutti gli inviati stranieri. Una grandissima redazione che, già allora,  non era immune da attacchi e bombardamenti.

Il Florida aveva una posizione strategica perché vicino al palazzo della Telefònica da cui venivano spedite le corrispondenze. Le duecento stanze dell’albergo furono abitate in quel periodo dai corrispondenti delle più note testate internazionali, dalla Pravda al News Chronicle, al Daily Telegraph, al New York Times… Fra loro anche Robert Capa.

Nel dicembre del 1938, la prestigiosa rivista inglese “Picture Post” pubblicò undici pagine di immagini della guerra civile spagnola dell’allora venticinquenne Robert Capa, proclamandolo “il miglior fotografo di guerra del mondo”. Ad oltre sessant’anni dalla sua morte, sono in molti a ritenere che, con la sua documentazione eccezionalmente toccante e potente di cinque guerre, Capa possa conservare questo titolo a pieno diritto.

Ma Capa non può essere etichettato solo come fotografo di guerra, perché molte delle sue immagini catturano, con calore e intelligenza, le gioie della pace. Tra esse anche i numerosi ritratti di personalità insigni della cultura novecentesca, da Picasso a Matisse, a Truman Capote, John Huston,  Humphrey Bogart, William Faulkner, Ingrid Bergman, Gary Cooper e, naturalmente Ernst Hemingway.

Ciò nondimeno, le fotografie di guerra restano al centro del suo lavoro e, in quest’ambito, quelle della guerra civile spagnola occupano un posto di rilievo. Capa era presente quando vennero sganciate le bombe sulle zone residenziali di Madrid, Hankou e Londra, ma di rado fotografò i morti e i feriti gravi. Piuttosto, si concentrava sui sopravvissuti, per i quali la vita andava avanti nonostante le perdite devastanti e la totale distruzione. Si potrebbe dire che il grande tema delle fotografie di guerra di Capa è il trionfo dello spirito umano sulle più terribili avversità.

“Capa sapeva che cosa cercare e che cosa farne dopo averlo trovato. – disse di lui John Steinbeck – Sapeva, ad esempio, che non si può ritrarre la guerra, perché è soprattutto un’emozione. Ma lui è riuscito a fotografare quell’emozione scattando accanto ad essa. Era in grado di mostrare l’orrore patito da un intero popolo sul volto di un bambino”.

Che le sue fotografie mostrassero soldati o civili, le immagini sono sempre caratterizzate da intimità e immediatezza, compassione e empatia. Capa non ebbe difficoltà a infondere queste qualità alle sue opere, perché aveva fatto in prima persona esperienze analoghe a quelle che ritraeva. L’amata Gerda Taro, che aveva aiutato a diventare fotogiornalista professionista, fu uccisa da un carro armato mentre stava documentando una battaglia in Spagna nel 1937, e Capa stesso rischiò continuamente la vita per fotografare i teatri della guerra dalla prima linea.

A detta di tutti, era un uomo straordinario, estremamente generoso, brillante e divertente. Detestava i pregiudizi e la presunzione, non si definì mai artista, per quanto lo fosse a tutti gli effetti: realizzava infatti le sue opere con grande intelligenza, passione, competenza, sensibilità, arguzia e grazia.

In quest’ultima immagine la fuga dei profughi verso il confine francese, descritta da Hemingway nel reportage per l’agenzia americana del 3 aprile 1938:

…Ben presto cominciammo a incontrare carri pieni di profughi. Uno era guidato da una vecchia che piangeva e singhiozzava mentre faceva schioccare la frusta. Fu la sola donna che vidi piangere in tutta la giornata. C’erano otto bambini che seguivano un altro carro, e un ragazzino si mise a spingere una ruota quando il pendio divenne particolarmente arduo. Sui carri erano accatastate lenzuola, macchine da cucire, coperte, utensili da cucina, materassi avvolti in stuoie e sacchi di grano per cavalli e muli, mentre alle ribalte erano legate capre e pecore. Non erano presi dal panico: stavano solo tirando faticosamente avanti…