Era l’8 ottobre 1975, quando “Ubu Re”, con la regia di Tonino Conte e le scene di Emanuele Luzzati, inaugurava un nuovo teatro, la Tosse nella sede allora ubicata proprio in salita della Tosse. Avviava la propria attività un teatro che sin da subito si era prefissato l’obbiettivo di muoversi in direzione diversa rispetto ad altri palcoscenici cittadini, giocando con gli spazi, cercandone di alternativi, lavorando su drammaturgie anche provocatorie, spesso oniriche, fantasiose, trascinato dalla verve inventiva e dall’estro geniale di Tonino Conte, di Aldo Trionfo e di Lele Luzzati.
Il Teatro della Tosse, dunque, compie cinquant’anni e festeggia il suo compleanno con una articolata stagione, aperta ieri sera con un significativo “ritorno al passato”.
Emanuela Conte ha infatti ripreso il personaggio di Ubu proponendo “Ubu re scatenato” libera rilettura dalla trilogia ubuesca di Alfred Jarry.
“Ubù re scatenato” ha dichiarato – che metterò in scena per me sarà come la chiusura del cerchio. Un percorso iniziato cinquant’anni fa, con un Teatro che ha saputo tossire contro l’ipocrisia che segna il nostro tempo e che continuerà a respirare ancora a lungo”.
Uno spettacolo ben costruito che ha restituito la mitica grandezza del personaggio di Jarry con le sue grossolanità, la sua voracità, la sua cattiveria e, in fin dei conti, la sua stravagante umanità.
Conte ha puntato su due Ubu padri e due Ubu madri. Una coppia anziana (Enrico Campanati e Susanna Gozzetti splendide colonne da decenni della Tosse), infatti entra in scena come ospite di un fantomatico talk show intervistata da una intraprendente giovane giornalista (la simpatica e brava Sarah Pesca); e i racconti dei due intervistati si materializzano nella scena con l’altra coppia di Ubu e i vari personaggi-maschere via via coinvolti.
Conte gioca dunque su un doppio binario: il ricordo (dei vecchi Ubu, omaggio ai 50 anni della Tosse) e il “presente” della rappresentazione che si riverbera sul futuro perché il personaggio di Jarry è da sempre l’emblema della Tosse, quello che ne sintetizza al meglio obbiettivi e caratteri.

L’Ubu che da poveraccio diventa re, poi decade, fugge e per essere libero si fa schiavo rappresenta un’umanità grottesca, calata in una società, allora come ora, carica di contraddizioni, tanto che alcuni episodi risultano di una attualità sconcertante.
La scenografia, firmata dallo stesso Conte, è naturalmente iabesca, un ammasso di oggetti che formano un grande trono centrale; i costumi goffi, le maschere ai volti, riflettono l’idea di un teatro dell’assurdo come voleva lo stesso Jarry che aveva in un primo tempo pensato a Ubu come protagonista di un teatro di marionette.
Sul piano musicale Conte si diverte a mescolare le carte, passando da Edith Piaf a Mozart senza dimenticare accenni lirici dai Pagliacci e da altri titoli operistici.
Alla fine tutti i personaggi si trasformano in Ubu e circondano minacciosi il pubblico mentre risuona una percussione ostinata.
Bravissimi tutti gli attori: oltre a quelli già citati, Ludovica Baiardi, Pietro Fabbri, Antonella Loliva, Marco Rivolta.
Applausi, repliche fino al 26 ottobre.
