Imperia: articolato omaggio a Berio

“Quando mi è stato proposto di interpretare la Sequenza terza di Luciano Berio mi sono spaventata. Poi però – come ogni sfida che sia veramente tale – lo studio del brano mi ha travolto e appassionato in maniera totalizzante. Per qualche mese ho vissuto a ‘Pane e Sequenza’!”

Così la bravissima Valeria Mela si esprime a proposito di uno dei brani eseguiti durante il bel concerto tenutosi al Teatro Cavour venerdì 24 ottobre scorso. Proprio nel giorno in cui cade l’anniversario dei cento anni dalla nascita del grande compositore, la cantante imperiese (che vanta una carriera internazionale con esibizioni in tutto il mondo ed una tanto spiccata quanto rara predilezione per la musica vocale da camera contemporanea) si è esibita con Giuseppe Bruno (pianoforte), Arcadio Baracchi (flauto) e Valentina Renesto (sassofono soprano) in Musicartemia, nell’ambito della rassegna “Imperia per Imperia – Berio 100: ascoltare il futuro” dedicata al genio imperiese. Un ensemble formato da musicisti per 3/4 liguri (Baracchi è fiorentino), benché con esperienze e collaborazioni prestigiose in tutto il mondo,  guidato dallo stesso Bruno – pianista, direttore d’orchestra e compositore – che ha anche introdotto i pezzi in maniera estremamente efficace e necessaria per un repertorio indubbiamente “ostico”, con spiegazioni precise e chiare anche per un pubblico di non addetti ai lavori.

Un momento del concerto (foto di Marco Macchiavelli)

 

Il concerto, introdotto dal noto letterato Vittorio Coletti, si è aperto con le Quattro Canzoni popolari per pianoforte e voce femminile, composte da Berio sul finire degli anni ‘40: Dolce cominciamento, su testo di un Anonimo siciliano; La donna ideale, anch’essa su versi anonimi in realtà scritti dallo stesso Berio; Avendo gran disio, tipica lirica di sapore “cortese” di Jacopo da Lentini, uno dei maggiori rappresentanti della Scuola siciliana alla corte di Federico secondo, agli albori della storia letteraria italiana; Ballo, con parole di un Anonimo siciliano, in realtà ancora del compositore ligure. Composizioni dunque, giovanili – di un musicista poco più che ventenne non ancora lanciato verso sperimentazioni ardite – eppure già caratterizzate da alcuni aspetti che contraddistingueranno il Berio più maturo, prima fra tutte l’esigenza di mescolare tradizione e innovazione, genuinità popolare e colta sperimentazione. Non per niente due delle Canzoni (quelle con testo beriano) confluiranno nei noti Folk Songs, in cui etnico e intellettuale si mescolano mirabilmente, undici brani incentrati anch’essi sulla femminilità e sull’amore in maniera simbolica e talvolta ironica.

L’esecuzione di Valeria Mela e Giuseppe Bruno delle Quattro Canzoni ha elegantemente introdotto il concerto con un Berio ancora piuttosto “orecchiabile” nelle melodie fluide e cantabili, benché sorrette da un accompagnamento pianistico di sapore meno tradizionale.

La parte centrale della serata è stata invece dedicata al Berio più “estremo” e sperimentale, quello delle Sequenze.

Valentina Renesto ha eseguito con grande maestria la Sequenza 7, scritta inizialmente dal compositore imperiese per oboe, ma qui presentata nella trascrizione autorizzata da Berio del sassofonista francese Claude Delangle. Il pezzo fa parte di una serie di quattordici composizioni per solisti create tra il 1958 e il 2002, che esplorano le potenzialità espressive e tecniche dei singoli strumenti in maniera inedita.

“Anche in Sequenza VII per oboe – scrive il compositore nelle note al brano – proseguo questa ricerca di una polifonia latente, creando una prospettiva per le complesse strutture sonore dello strumento con una “tonica” sempre presente: un si naturale che può essere suonato, pianissimo, da qualsiasi altro strumento dietro la scena o fra il pubblico. Si tratta di una prospettiva armonica che contribuisce a una percezione più sottile e analitica dei vari stadi di trasformazione della parte solistica”.

Ed anche la Sequenza per flauto – scritta da Berio per Severino Gazzelloni ed imperniata su possibilità sonore inesplorate, persino percussive, dello strumento – è stata eseguita magistralmente da Arcadio Baracchi, musicista di fama internazionale proprio in virtù della sua specializzazione nel repertorio contemporaneo.

La Sequenza per voce è stata poi interpretata con grande intensità da Valeria Mela.

“La partitura richiede un profondo lavoro di decifrazione – rivela la cantante – Non ci sono indicazioni né sulla ritmica né sull’altezza delle note, ma soltanto sugli intervalli. C’è una sorta di legenda per interpretare i simboli di Berio, esplicativi non solo degli effetti sonori da realizzare, ma anche di quelli espressivi: l’autore cioè prescrive proprio lo stato d’animo, l’emozione con cui vanno effettuati le varie frasi, e anche le singole note. Pertanto, al contrario di quanto possa sembrare, non si tratta solo di un lavoro tecnico (che è già comunque molto impegnativo perchè, se non si sta attenti, con certi effetti si rischia di danneggiare le corde vocali) ma anche drammaturgico”.

Il testo in inglese del brano – in realtà completamente smembrato e spesso ridotto a puto suono – è di Markus Kutter.

Anche in questo caso ci vengono in soccorso le parole dello stesso autore:

“La voce porta sempre con sé un eccesso di connotazioni. Dal rumore più insolente al canto più squisito, la voce significa sempre qualcosa, rimanda sempre ad altro da sé e crea una gamma molto vasta di associazioni. In Sequenza III ho cercato di assimilare musicalmente molti aspetti della vocalità quotidiana, anche quelli triviali, senza però per questo rinunciare ad alcuni aspetti intermedi ed al canto vero e proprio. Per controllare un insieme così vasto di comportamenti vocali era necessario frantumare il testo e in apparenza devastarlo, per poterne recuperare i frammenti su diversi piani espressivi e ricomporli in unità non più discorsive ma musicali”.

Giuseppe Bruno (foto Marco Macchiavelli)

Giuseppe Bruno ha infine offerto un’ottima esecuzione dei Six Encores, pezzi per pianoforte che il compositore stesso diceva di aver immaginato come “bis” (da lì il titolo), vista la brevità e la difficoltà in particolare di tre dei sei.
“Ci sono quattro Encores che hanno titoli un po’ ironici: Wasserklavier, il pianoforte dell’acqua, diciamo; Feurklavier, il pianoforte del fuoco; Erdenklavier, il pianoforte della terra; e Luftklavier, il pianoforte dell’aria” spiegò il compositore nel corso di un suo Intervento tenuto il 19 marzo 2001 al Museo Teatrale della Scala.

La conclusione del concerto – azzeccatissima non solo per la raffinata interpretazione dei musicisti ma anche per la funzione simbolica –  ha visto protagonista la composizione per voce e pianoforte più nota del padre di Luciano, Ernesto (organista e compositore come il nonno Adolfo) Che dice la pioggerellina di marzo?, su versi del poeta imperiese Angiolo Silvio Novaro:  «Che dice la pioggerellina / Di marzo, che picchia argentina / Sui tegoli vecchi / Del tetto, sui bruscoli secchi / Dell’orto, sul fico e sul moro / Ornati di gèmmule d’oro?…». Una melodia cristallina nella sua essenzialità, un premio per il pubblico in sala dopo tanta concentrazione – pubblico che ha applaudito a lungo i quattro protagonisti –  e soprattutto un omaggio ad Imperia, nel ricordo dei suoi artisti illustri.