GOG: il quartetto da Nono a Beethoven

Nel 1980, in occasione del XXX Festival beethoveniano di Bonn, gli organizzatori, volendo affrontare il tema del Beethoven innovatore e del suo lascito al nostro tempo, commissionarono tre quartetti  a Xenakis, Wourinen e Nono.

Nono compose così il suo unico quartetto, “Fragmente – Stille, an Diotima”.

Non è stata dunque casuale la scelta del Quatuor Diotima che, ospite ieri sera al Carlo Felice della GOG, ha strutturato il programma aprendo con la partitura di Luigi Nono e chiudendo con il mirabile Quartetto op. 132 di Beethoven.

“Fragmente-Stille” sin dal suo apparire suscitò discussioni e polemiche fra gli studiosi. Al Nono politicamente impegnato e proprio per questo profondamente comunicativo, si opponeva un Nono chiuso in se stesso: un lavoro in cui il silenzio assume lo stesso peso del suono, in un crescendo di tensione interna. Un quartetto scarnificato. Nono ha inserito nella partitura versi del poeta Hoderlin (Diotima è il nome che il letterato diede a un amore impossibile) che tuttavia il pubblico non deve conoscere. Nelle lunghe pause gli esecutori rileggono mentalmente i versi e i suoni successivi sono il riflesso delle sensazioni suscitate. Il discorso musicale, dunque, procede per sezioni brevi, costruite su suoni a tratti appena soffusi, quasi impercettibili e scariche improvvise, nervose, tese.  Una costruzione musicale che all’epoca risultò certamente originale, soprattutto nel contesto creativo di Nono e che oggi appare forse un po’ troppo dilatata e datata.

Il quartetto francese (Yun-Peng Zhao e Leo Marillier, violini, Franck Chevalier, viola, Alexis Descharmes, violoncello) ne ha offerto comunque una lettura rigorosa e puntuale.

Il Quartetto op. 132 appartiene alla fase estrema della produzione Beethoveniana. Anche qui il silenzio è fondamentale; ma è il silenzio in cui è calato il compositore, ormai totalmente sordo e avulso dalla musica del suo tempo. Gli ultimi quartetti parlano ai posteri e non a caso saranno i tardo romantici (Brahms) o i compositori del primo Novecento (Bartok) a raccoglierne l’eredità. Beethoven, si dice, è stato il primo a fare tutt’uno fra vita e arte. Nelle sue opere si racconta, si mette a nudo, come aveva annunciato nel toccante “Testamento di Heiligenstadt” scritto nel 1802, coraggiosa confessione ai fratelli della sua incipiente sordità.

Il Quartetto op. 132 è sotto questo aspetto un esempio mirabile. Il tempo centrale (uno dei più alti usciti dalla penna di Beethoven, ha un titolo significativo: “Canzona di ringraziamento offerta alla divinità da un guarito…”. Beethoven ci dice che era stato malato, ma si era risollevato. E quel mirabile “Molto adagio”, teso e malinconico, viene interrotto improvvisamente da un Andante più brillante, sopra il quale Beethoven annota “Sentendo nuove forze”.

Un capolavoro indiscusso che il Quartetto francese ha restituito con gusto, un controllo del suono notevole, in uno stile volutamente asciutto e equilibrato.

Applausi calorosi e un bis di Boulez.