Kholodenko, le sfumature del suono

Faceva una certa impressione, ieri sera, ascoltare al Carlo Felice il violento martellare sonoro del “Precipitato”, terzo movimento della Sonata n.7 di Prokof’ev e ricordarne la genesi: il grande compositore dell’allora Unione Sovietica (nativo di una cittadina in territorio ucraino) l’aveva scritto sotto l’effetto della seconda guerra mondiale in cui i nemici stavano al di fuori dei confini dell’URSS. Faceva impressione, dicevamo,  ascoltare quell’aggressività sonora attraverso le mani poderose di Vadym Kholodenko, giovane e talentuoso pianista ucraino che nella mente e negli occhi aveva probabilmente le immagini della guerra di oggi in cui i nemici stanno all’interno di quelli che un tempo erano i confini dell’URSS.

Concerto affascinante quello di ieri nell’ambito della stagione della Giovine Orchestra Genovese. Kholodenko è un artista di rara sensibilità e di solida preparazione. E il programma  ha mostrato due anime del suo pianismo e del suo gusto musicale.

La serata si è infatti aperta e chiusa con due lavori di Prokof’ev, mentre al centro si sono collocate due opere di Schubert.

Due modi diversi, dunque, di affrontare la tastiera. Non solo, evidentemente, per una differente visione stilistica, strutturale, armonica, ma anche per l’approccio al suono. Che in Prokof’ev è spesso di tipo percussivo, mentre in Schubert è morbidamente lirico.

I Quattro Pezzi op. 32 presentati in apertura mostrano inoltre il carattere ironico e grottesco di Prokof’ev. Kholodenko l’ha reso magnificamente sin dall’iniziale Danse affrontato con equilibrio fonico e ineccepibile gusto interpretativo. Un aspetto emerso nelle quattro pagine di Prokof’ev è legato anche alla duttilità delle dinamiche: Kholodenko mantiene una chiarezza espositiva stupefacente anche in lunghi e progressivi diminuendi che precipitano la frase dal suono al silenzio.

Poi con la Sonata in mi bemolle maggiore di Schubert si è voltata pagina: la lirica inventiva del compositore viennese, il gusto malinconico e riflessivo del secondo movimento hanno trovato in Kholodenko un interprete capace di un fraseggio pacato, disteso, meditativo.

Ancor più l’artista ucraino ci ha convinto nei successivi Drei Konserstucke D 946. Il secondo, in particolare, ha costituito uno dei momenti migliori della serata per la raffinatezza con cui Kholodenko ha saputo esaltare la poetica cantabilità schubertiana.

Infine la citata Sonata n.7 di Prokof’ev. Il piglio energico del primo tempo, l’andante inquieto e carico di tensione del secondo e poi il citato arduo finale incalzante: una lettura magnifica che il pubblico ha accolto con calorosi applausi.

Due i bis concessi: le brillanti Variazioni su un tema di Carmen di Horowitz e lo spiritoso e danzante  Imbarco per Citera di Poulenc.