GOG: Albanese e Ives

C’era davvero poco pubblico ieri sera al Carlo Felice per il consueto appuntamento della Giovine Orchestra Genovese. L’improvviso ritorno dell’inverno ha tenuto probabilmente lontano chi magari sentendo ormai l’aria primaverile aveva già fatto il cambio armadi.. Ma certamente non ha favorito l’affluenza il programma scelto dal pianista Giuseppe Albanese, incentrato su autori non facilmente digeribili anche se di particolare interesse quali Janacek, Schoenberg, Busoni e, soprattutto, Ives.

Concerto per pochi, dunque, ma sicuramente godibile grazie specialmente alla indiscutibile bravura di Albanese uno dei pianisti più interessanti della sua generazione.

Prima parte aperta da Nella nebbia di Janacek pagina di densa malinconia dipanata dall’artista con chiarezza espositiva e buone soluzioni dinamiche. Qualità emerse anche nei successivi Sechs Kleine Klavierstucke di Schonberg, brani di forte rottura, in un contenuto e drammatico rinchiudersi in se stesso da parte del compositore che adotta una scrittura di rara essenzialità.

Con Busoni Albanese si è potuto misurare con un compositore che era anche grande pianista e la tastiera la conosceva bene: ecco dunque un pianismo orchestrale, ricco di colori e sfumature nel Taccuino indiano e nelle successive due Elegie (All’Italia e Turandots Frauengemach). Pagine che Albanese ha risolto con indiscutibile bravura tecnica.

Clou della serata la Concord sonata di Ives che per la sua durata (una cinquantina di minuti) ha occupato l’intera seconda parte della serata.  La Concord sonata è fra le opere più complesse e controverse della letteratura pianistica.

Come è noto il titolo deriva dalla cittadina Concord nel Massachusetts dove vivevano pensatori quali Emerson, Hawthorne, gli Alcott e Thoreau. La Sonata si propone dunque come una sorta di rappresentazione concettuale, filosofica attraverso una diversa identificazione sonora, strutturale e linguistica dei protagonisti. Indifferente al problema della eseguibilità, Ives ha creato una partitura estremamente dilatata in cui la tastiera del pianoforte è sfruttata in tutte le sue risorse; straordinaria la ricchezza timbrica, frequente il ricorso a glissandi o a clusters mediante l’utilizzo di un regolo di legno.

L’interpretazione di Albanese è parsa lodevole per soluzioni tecniche e scelte dinamiche. L’artista ha fatto ricorso a una vasta gamma di sonorità passando da roboanti affermazioni accordali a frasi risolte quasi in un sussurro, echi di canti lontani che interrompono all’improvviso il turbinio sonoro in primo piano. Nel finale come prevede l’autore si inserisce anche un flauto (Fabio De Rosa) a chiudere in un clima di pacata serenità una tempesta musicale quasi unica.

Applausi calorosi e meritati naturalmente; unico appunto le presentazioni un po’ troppo prolisse all’inizio delle due parti: interessanti, certo, ma forse superflue dal momento che, come vuole la tradizione della GOG, il programma era già stato presentato prima dell’inizio dello spettacolo da Giulio Odero.