È alle porte il coaching di teatro aperto a tutti e condotto da Paola Bechis, che si intitola “Il metodo Feldenkrais e il lavoro dell’attore”. Il laboratorio inaugurerà, infatti, il prossimo weekend (11-12 ottobre) presso Arti’s in Via Palmaria 5 a Genova e si articola in 9 weekend da Ottobre a Maggio con incontri il sabato e la domenica dalle 10 alle 18. Per l’occasione abbiamo incontrato l’attrice e insegnante Paola Bechis che, partendo dalla sua formazione, ci ha raccontato il lavoro che metterà in atto in questo interessante coaching.
Partiamo dalla sua poliedrica formazione:
Nel 1987 mi diplomo al Conservatorio Giuseppe Verdi in fagotto, e successivamente (1989) all’Accademia d’arte Drammatica dei Filodrammatici a Milano. All’età di ventidue anni inizio a lavorare come attrice sia in teatro che al cinema. Per il teatro ricordo il lavoro con Carlo Cecchi in “Leonce e Lena” e “La trilogia della villeggiatura” di Goldoni con la regia di Silvano Piccardo, mentre per quanto riguarda il cinema mi sono cari “Non pensarci” di Gianni Zanasi, “Casomai” di Alessandro D’Alatri, “Paz!” di Renato De Maria e “Garage Olimpo” di Marco Bechis. Ho vissuto 10 anni a Parigi dove nel 2004 ho conseguito il diploma di insegnante del Metodo Feldenkrais e ho fondato una compagnia teatrale con Francis Aiqui, collaborando nel contempo con Ludwig Flaszen, mio insegnante, e Grotowski. Fra gli altri lavori ho registrato audiolibri per Audible e fatto letture dal vivo. Come insegnante ho tenuto per tre anni un corso per adulti e bambini a Camogli sulla scrittura, da cui è nato lo spettacolo “Il mare davanti e il mondo dietro”. Nel 2024 ho insegnato a Lugano al teatro d’Emergenza, a ragazzi che ho preparato per le audizioni alle Accademie Nazionali di teatro e di cinema e ho tenuto un corso “adulti avanzato” al Cfa di Luca Bizzarri a Genova.
Come si intrecciano la sua formazione musicale e teatrale nel lavoro con gli attori?
Nel mio lavoro di sviluppo del percorso attoriale coniugo tre mondi strettamente legati fra loro: il metodo feldenkrais, la musica e il lavoro dell’attore. Come disse lo stesso Feldenkrais:«Se sai quello che fai, puoi fare quello che vuoi». Così nel laboratorio lavoro moltissimo a terra con la respirazione, che è uno strumento fondamentale sia per gli attori che per i musicisti. La recitazione e la musica hanno moltissimi punti in comune come sapersi muovere, saper cantare, avere orecchio musicale che personalmente ho sviluppato con i miei tre diplomi. Quando un attore recita deve pensare al ritmo delle battute: è come un cantante d’opera che non canta.
Com’è stato l’incontro con Ludwig Flaszen e cosa le ha lasciato nel modo di insegnare?
L’ho incontrato a Firenze Ludwig e li è iniziato il nostro lungo lavoro insieme, da allieva ad attrice nei suoi spettacoli, a Parigi, in Corsica e a Milano. Quanto abbiamo mosso il corpo per far uscire la voce e la parola, quanta sapienza e intelligenza nel creare i personaggi, quanto lavoro per incarnarli. Per far suonare le corde vocali per trovare il nostro timbro, poterlo potenziare, ritrovare la nostra voce. Incontrare l’attore che siamo. Quando insegno utilizzo il metodo Feldenkrais e ciò che mi ha lasciato lui dell’allenamento fisico e vocale e della capacità di entrare nei personaggi teatralmente.
Perché ha scelto proprio Pirandello, Shakespeare, Čechov e Dostoevskij come autori di riferimento?
Perché li amo e perché per me sono equivalente in musica di Bach, Mozart e Haendel. In Shakespeare c’è un moto organico che si mette in moto ed è estremamente passionale e vero. Le contraddizioni umane vengono fuori in modo inequivocabile e vi è una forte relazione con il corpo organico e i temi, le passioni. Cechov e Pirandello perché hanno un modo di entrare nella relazione nell’umano in maniera vera. E Dostoevskij in quanto ho lavorato a interessanti adattamenti teatrali de “I Demoni” e de “L’idiota”.
Qual è la sfida più grande per chi partecipa a questo laboratorio e come lavora per bilanciare le esigenze di attori professionisti, aspiranti e amatori nello stesso percorso?
La sfida più grande è fare un percorso dentro di sé a livelli e intenti diversi in un gruppo misto di attori giovani, persone mature, musicisti e danzatori e per bilanciare le differenti esigenze assegno a ogni partecipante due monologhi e due dialoghi a cui lavorare sia singolarmente che in coppia.
Cosa intende quando dice “diventare altro da sé partendo da sé”?
Il lavoro che io insegno per entrare nel personaggio sia attorialmente che cinematograficamente a partire dal corpo piuttosto che psicologicamente. Di base è un’azione e ti devi allenare prima fisicamente per poi entrare nell’azione. È partire da sé stessi per mettere in moto quello che siamo per entrare nel personaggio in maniera realistica. Devi mettere in moto corpo, viso e voce. La voce è l’espressione più intima che conferisce pudore e traduzione di ciò che proviamo e la sua profonda connessione con il corpo è elemento essenziale per farne utile e buon uso e poter esprimere attraverso le parole, concetti, conflitti, ragionamenti, idee, emozioni, sensazioni, la vita del personaggio, ed entrare nella scrittura dell’autore.
Lei parla spesso di “gruppo misto” e di “contaminazione di esperienze”: quanto è importante questa dimensione comunitaria per la crescita dell’attore?
Per me è importantissimo. È un gruppo che si allena insieme e che dà sostegno e sguardo al singolo. Un gruppo che si guarda e si supporta. Che si contamina nell’apprendimento condiviso da esperienze e da obiettivi diversi. Il laboratorio è, infatti, aperto a tutte le persone che vogliano fare un percorso teatrale. A giovani aspiranti attori e attrici che vogliano preparare le audizioni per le Accademie Nazionali di teatro e cinema. Ad attori e attrici professionisti e amatoriali, a danzatori e musicisti, che vogliano prepararsi a un provino o semplicemente allargare i propri studi. Per questo lavorerò nella formazione di un gruppo compatto, dove l’esperienza di livelli e intenti diversi, contamini il percorso degli altri. Adoro a lavorare insieme a persone che si mettono in gioco in un’esperienza teatrale e non solo con attori che lo fanno per le audizioni.
Lei scrive che “i personaggi non esistono, sono archetipi umani”: come trasmette questo concetto agli attori in formazione?
I personaggi non esistono perché sono archetipi umani. Raccontano delle storie che sono la vita. Tu attore li incarni, li indossi, devi mentire e devi farlo bene, affinché il pubblico che
guarda ci creda. Questo lavoro si fa in maniera fisica, allenando il corpo anche sul ritmo e la musica e quando il corpo è veramente stanco, si è mosso in ogni direzione possibile e il fiato raggiunge un livello altissimo di resistenza, allora è pronto a incarnare il personaggio e la parola esce vera
Tutto. La tecnica è necessaria per arrivare a essere vero. La capacità di memorizzare il testo è un allenamento continuo e tanto lavoro.
Cosa significa per lei “l’attore diventa sacro”? E quanto conta l’autenticità dell’emozione in scena rispetto alla tecnica?
L’attore è un tramite tra terra e cielo come noi umani che con i piedi siamo ancorati alla terra e con il cuore siamo collegati agli altri. Ciò avviene anche nel Feldenkrais. L’attore è un tramite per raccontare una storia, che mente così bene che tutti ci credono e si emozionano. Se non si emoziona chi ascolta e ti guarda hai fallito, non importa cosa hai fatto o cosa pensi, hai fallito. L’attore diventa un veicolo di trasmissione del racconto, diventa umano, diventa sacro come la musica e il palcoscenico. Considero il palcoscenico e il teatro luoghi sacro dove si emanano grandi energie spirituali e si crea una profonda connessione tra il pubblico e chi è in scena.
Per info e iscrizioni:
Paola Bechis
Cell. 333.4895130
mail paolabechis@hotmail.com
sito www.paolabechis.it