Paganini ultimo atto. Questa mattina (giorno del compleanno di Paganini) con una conferenza stampa tenuta nella sede del Premio Paganini (presenti il presidente Giovanni Panebianco, il direttore artistico Nicola Bruzzo, l’assessore alla cultura Giacomo Montanari e il vincitore del Premio) si è ufficialmente chiuso il 58° Concorso violinistico intitolato al grande Genovese.
La notizia più interessante l’ha fornita l’assessore alla cultura Giacomop Montanari che ha annunciato la volontà dell’amministrazione comunale di fare di ottobre il mese di Paganini con il concorso di tutte le istituzioni e professionalità culturali della città, dal Premio al Conservatorio dagli Amici di Paganini al Centro studi.
In conferenza sono stati confermati i dati che già erano stati commentati positivamente sabato in occasione della premiazione: 1400 persone in teatro, 40.000 a seguire lo streaming.
Il Premio, come è noto, ha laureato il diciassettenne cinese Aozhe Zhang che ha vinto la concorrenza di Rino Yoshimoto (giapponese di 22 anni) e di Hyun Seo Kim, coreana di 15 anni. Una classifica che ha suscitato una certa sorpresa in platea al momento della proclamazione.

La Kim, in effetti, aveva evidenziato una esuberanza e una musicalità davvero notevoli tanto nel Concerto di Paganini affrontato con piglio e autorevolezza, ma anche con raffinata musicalità (si pensi al Rondo finale con la ricerca di varietà di suono nelle diverse ripetizioni) quanto nel Concerto di Cajkovskij.
Zhang ha doti tecniche eccellenti, un suono pulito, suona con eleganza. Discutibile il suo approccio interpretativo: una lettura intimista con eccessivi rallentandi nei momenti più lirici che hanno tolto alla partitura paganiniana parte della sua brillantezza. Impressioni confermate anche ieri nella serata di gala al Carlo Felice, nella quale Zhang ha riproposto il Concerto di Paganini suonando il Cannone. Il programma di ieri (diretto da Philipp von Stenaecker)era completato dalla Sinfonia n. 8 di Dvorak. Accanto al Concerto paganiniano, in una serata dedicata al Premio, sarebbe stato preferibile una partitura più “vicina” al compositore genovese. Una buona scelta sarebbe stata, ad esempio, la “Sinfonia fantastica” di Berlioz. I due artisti si stimavano reciprocamente. Non solo: in una serata benefica come quella di domenica (il ricavato del concerto era a favore del Gaslini) sarebbe stato un modo per ricordare la generosità di Paganini che a Berlioz donò 20.000 franchi dopo aver ascoltato il suo “Aroldo in Italia”.
Tornando al Premio, a breve partirà la macchina organizzativa per l’edizione 2027, con Nicola Bruzzo (giovane violinista che si è conquistato sul campo la stima generale) già confermato come direttore artistico e alle prese con il nuovo bando di concorso.
A proposito della impostazione del programma, nelle due ultime edizioni del Premio i finalisti sono stati tre e non sei come in passato, il che li ha obbligati a eseguire due concerti nella stessa giornata: una fatica immane sul piano fisico, ma anche e soprattutto sul piano interpretativo. Perché non tornare a una finale a sei concorrenti con l’esecuzione dei due Concerti ripartita fra due giornate? Il problema insorge a causa della semifinale che riduce da sei a tre i concorrenti e che quest’anno era cameristica con il coinvolgimento di formazioni quartettistiche. Che un vincitore del Premio Paganini debba essere anche un buon musicista da camera è logico e del resto c’è sempre stata appositamente la Sonata romantica, da Schumann a Brahms. E del resto vari vincitori del passato hanno dimostrato di essere ottimi cameristi (pensiamo alla Prischepenko). Un quartetto non nasce in due prove: i sei semifinalisti hanno tutti mostrato belle qualità esecutive, ma si sono presumibilmente uniformati al taglio interpretativo del complesso in cui sono stati inseriti. Come giudicarli?
Allora, una soluzione potrebbe essere: la prova cameristica rimane, ma non pregiudica l’accesso dei sei concorrenti alle finali, costituisce un elemento di valutazione in più nella prova conclusiva.
