Città segrete, Genova, un’occasione persa

Corrado Augias è giornalista e intellettuale di profonda cultura, fine dicitore, profondo conoscitore del mezzo televisivo da lui frequentato da molti decenni.

Città segrete è il titolo della sua ultima fatica televisiva. Ogni domenica, su Rai 3, Augias racconta la storia e l’attualità di una città di particolare rilevanza. E ieri ha puntato l’obbiettivo su Genova.

Immagini splendide degli stupefacenti Palazzi dei Rolli, l’imponenza della Cattedrale di San Lorenzo, la suggestione di alcuni luoghi sacri come l’Oratorio di San Filippo, l’incantevole natura del Parco Pallavicini di Pegli o delle creuse che si inerpicano per le colline a picco sul mare. E, ancora, il Cimitero monumentale di Staglieno, le ville patrizie di Albaro, l’attività febbrile del Porto, il miracolo del nuovo Ponte sulla Val Polcevera. Riprese lodevoli, insomma. Peccato che la storia narrata sia stata ben al di sotto delle aspettative, tanto per i contenuti, quanto per la “scaletta” seguita. Va bene, ad esempio, parlare della scuola dei cantautori (a parte il fatto che gli stessi cantautori hanno sempre negato l’esistenza di una “scuola”); ma dedicare a Fabrizio De Andrè uno spazio così ampio, definendolo un grande poeta e dimenticando di citare Eugenio Montale, premio Nobel per la letteratura nel 1975, mi è parso uno scivolone. Si è parlato forse un po’ troppo di Moana Pozzi e non si è ricordata la grande Scuola di recitazione dello Stabile, così come non si è citato Palazzo Ducale né la riapertura negli anni Novanta del Carlo Felice, teatro che, con tutti i suoi difetti, è fra i più moderni d’Europa. Si è parlato della vocazione industriale della Genova anni Sessanta e Settanta e non si è sottolineata la difficile trasformazione avviata in questi decenni con una maggiore attenzione agli aspetti turistici (il Porto Antico, l’Acquario). Si è giustamente celebrato Paolo Villaggio, ma forse si sarebbe potuto ricordare Gilberto Govi o anche alcuni attori che hanno fatto grande il teatro italiano, in primis, Lina Volonghi.  Si è accennato al Teatro del Falcone e forse si sarebbe potuto ricordare che lì lavorò per anni Carlo Goldoni, proprio per mostrare gli interessi culturali dell’aristocrazia genovese e anche la capacità manageriale dei nostri impresari se è vero (come raccontava lo stesso Goldoni) che i due palcoscenici genovesi del tempo (Falcone e Sant’Agostino) lavoravano a intermittenza per non farsi concorrenza!

Si è parlato di Paganini insistendo sulle solite storielle (giocava e perdeva soldi: ma quando? Se era un incredibile amministratore dei suoi beni!) e sbagliando anche le date (ad esempio quella di costruzione del Cannone). E sarebbe stato invece bello ricordare che Paganini è stato il primo strumentista autenticamente europeista della storia. Ci si è poi dimenticati di Colombo….

In compenso ampio spazio ha avuto Mary Shelley, geniale inventrice di Frankenstein (scritto tuttavia in tutt’altro luogo), mentre non si è parlato dei lunghissimi soggiorni genovesi di Verdi o di Nietzsche che proprio qui scoprì Bizet e la sua Carmen elevandola a suo personale baluardo contro il wagnerismo da lui in quel momento ripudiato.

Corretta, inappuntabile, la storia politica e sociale dalla grandezza di Andrea Doria alla potenza finanziaria della prima banca mondiale fino alla liberazione della città il 25 aprile 1945 a Villa Migone, per poi parlare delle grandi manifestazioni del 1960 contro il Governo Tambroni o le lotte contro le Br con il sacrificio di Guido Rossa.

Ecco, forse, se l’obbiettivo del programma si fosse concentrato sulle bellezze architettoniche e sulla grande storia, il ritratto sarebbe stato efficace e affascinante. Così, purtroppo, è parso un minestrone non particolarmente riuscito.