Anna Bolena, il dramma di una grande regina

Il 26 dicembre 1830 presso il Teatro Carcano di Milano va in scena Anna Bolena, tragedia lirica in due atti di Gaetano Donizetti , libretto di Felice Romani. In aperta concorrenza col Teatro alla Scala, il duca Pompeo Litta, il banchiere Giuseppe Marietti e il commerciante Soresi creano una stagione lirica che mette in campo i due compositori più promettenti del momento: Gaetano Donizetti, appunto e Vincenzo Bellini in scena pochi mesi più tardi con La sonnambula , vincendo a mani basse la sfida.

Giuditta Pasta (Anna), Giovanni Battista Rubini (Percy), Elisa Orlandi (Seymour), Filippo Galli (Enrico) ed Enrichetta Laroche (Smeton) decretano il pieno successo del lavoro di Donizetti che, qui forse per la prima volta, si affranca dal modello rossiniano passando a uno stile drammatico personale ed unico disegnato sulla caratterizzazione dei personaggi in perfetta intesa con la penna poetica ed elegante del genovese Felice Romani autore di uno dei libretti più felici della sua lunga carriera mentre il melodramma sta vivendo il passaggio tra il classicismo e il romanticismo. Quando si pensa ad Anna, si pensa subito agli ultimi venti minuti dell’opera e cioè al suo Rondò, preceduto dal toccante intervento del coro “ Chi può vederla a ciglio asciutto “ e composto dalla scena  “Piangete voi?”, dal cantabile e superbo “Al dolce guidami…”e dalla cabaletta “Coppia iniqua, l’estrema vendetta”. Fra tutti “Al dolce guidami…” è la punta di diamante di un lirismo che definisce la protagonista in modo deciso e inequivocabile, una delle ispirazioni più alte del compositore con una scala discendente che parla di dolorosa rassegnazione, nel ricordo di un antico amore lontano : la voce è accompagnata da un corno inglese, convenzionalmente usato nei lamenti femminili. Anna, già dalla prima uscita, si presenta come segnata dall’infelicità, dal dolore come canta Smeton : “ Bella è la tua mestizia/ siccome il tuo sorriso./Cinta di nubi ancora/ bella così è l’aurora/ la luna malinconica/ bella è nel suo pallor “.

Ma chi fu davvero Anna Bolena, l’infelice di cui un celebre ritratto di Hans Holbein alla National Gallery  restituisce il viso morbido e affilato, lo sguardo pungente, il lungo collo circondato da collane, da una delle quali pende sulla gola la compiaciuta B dei Boleyn, che il suo fascino aveva saputo portare sul trono d’Inghilterra? Era davvero – come la presentarono Romani e Donizetti – la moglie fedele tradita dall’ambiziosa Jane Seymour, attirata dal re in una trappola e ingiustamente accusata di incesto, adulterio e stregoneria e tratta perciò al patibolo? O non era forse una giovane intraprendente che alla Corte di Francia aveva imparato l’arte della seduzione e conosciuto i piaceri della passione tra le braccia di Henry Percy e del poeta Thomas Wyatt e che in seguito aveva saputo tornare nelle grazie del re, riprendendo a frequentare la Corte, spinta dall’ambizioso padre a raggiungere il trono?  “Impara l’arte di ottenere quello che vuoi dagli uomini . Non sbattendo i piedini, figlia, ma, al contrario, facendo credere agli uomini che sono loro a decidere. Questa è l’arte di essere donna“ (Elisabeth Howard alla figlia Anna Bolena).  Con queste premesse Anne Boleyn si farà spazio nel cuore del volubile re, insidiando progressivamente il suo rapporto con Caterina d’Aragona, rea di non avergli dato un erede maschio, e, sposandolo segretamente nel gennaio 1533, verrà incoronata regina d’Inghilterra il primo di giugno dello stesso anno, dopo che il vescovo di Canterbury Thomas Cranmer aveva decretato la piena legalità del matrimonio, quale formale garanzia della legittimità della creatura che in tutta evidenza la giovane portava in seno, la futura regina Elisabetta. Con questa manovra Anna porta il re ad allontanarsi definitivamente dalla chiesa cattolica e a determinare il cosiddetto scisma anglicano col quale il re d’Inghilterra diventa unico capo della chiesa, impermeabile alle decisioni del pontefice romano. La leggenda narra che l’antico brano musicale celtico Greensleevs popolare fino ai giorni nostri sia stato composto dal re Enrico VIII durante il corteggiamento di Anna  durato sette anni nei quali l’intelligente donna non si concedette mai al sovrano. A questo proposito il titolo del brano , letteralmente traducibile “maniche verdi “ faceva riferimento alle lunghe maniche indossate dalla futura regina per nascondere una deformità (la presenza di un sesto dito nella mano destra) . Ma, come Desdemona , nata “da una maligna stella“ , l’affascinante regina, dopo un aborto e una terza gravidanza conclusa con un figlio maschio deforme nato morto, finirà col perdere la fiducia del marito, reputata incapace di assicurargli un erede maschio e, dopo neanche tre anni di regno, ne subirà il tradimento  con Jane Seymour e la condanna alla pena capitale. Negli ultimi giorni della sua vita, rinchiusa nella torre di Londra, Anna scrive un breve diario dove descrive tutte le difficoltà che ha dovuto sopportare: il vedersi manipolata e usata da un padre ambizioso e affarista, teso a venderla al re, il rimpianto di un amore con un altro uomo, distrutto dalla lussuria e dal capriccio del sovrano, il dolore per essere accusata di stregoneria, cattiveria e perfidia per non avere adempiuto al dovere biologico di generare un maschio e infine , nell’ultima pagina si rivolge alla figlia Elisabetta, bimba ancora ignara di sé stessa e del suo ruolo. Quando Elisabetta, ormai adulta s’appresterà a regnare sul trono d’Inghilterra e riceverà da una vecchissima dama di corte un libriccino sdrucito color cuoio, rivivrà un bellissimo ricordo sepolto nella sua memoria, le braccia e le risate di sua madre su di lei e capirà che sua madre ha lottato per lei.

Nella radiosa mattina del 19 maggio 1536,  Anna chiede una fine da regina: chiede che per il suo collo sottile che è sempre stato il suo vanto, si usi non la scure ma la spada. Viene accontentata, mandando a chiamare a Calais un boia che lavora di fino; poi si veste di nero, raccoglie i capelli castani in uno chignon perché non sia d’impaccio alla lama; pur non avendo dormito, sul volto non mostra segni di stanchezza. Gli occhi neri brillano come non mai: li ha lavati con le lacrime. Anna l’adultera, Anna novella Circe ora è una santa. Recita a Enrico parole cortesi, sorride, sale pochi gradini, si slaccia da sola il colletto bianco, non vuole bende sugli occhi ; brillano tanto che il boia non riesce ad alzare la spada senza che lo disarmi lo splendore rassegnato di quegli occhi; poi questi si toglie le scarpe e piano , senza che lei se ne accorga, che possa girare la testa verso di lui, si avvicina e le assesta il colpo fatale. Intanto, tutto vestito di bianco, Enrico sale sulla barca che, risalendo il Tamigi, lo porterà  da Jane; il giorno seguente ad Hampton Court la sposerà.

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