Perché le lucertole non suonano il violino

Ho un amico che per qualsiasi evento o cosa, anche la più astrusa e improbabile, o peggio la più banale, non può esimersi dal commentare: “se è successo, un motivo ci sarà.” Confesso che la considerazione mi irrita un po’ perché mi sembra una  giustificazione a tutto e un eccesso di tolleranza. Sospetto però  che la mia interpretazione sia dovuta proprio alla tolleranza, dote di cui difetto e che mi porta  a vederne troppa anche dove troppa non è.  Forse il mio amico, invece, non fa che esprimere l’ineludibile bisogno degli umani  di trovare una causa a tutto, a qualsiasi costo, al limite inventandola. I filosofi lo hanno chiamato principio di causalità e vi  hanno dibattuto per secoli; oltre al solito Aristotele, che ha parlato di tutto, principalmente  Hume, che attribuì la causalità ad abitudine, Kant, che ne fa uno dei tanti a priori, e Leibniz che se la cava attribuendola a Dio.

Tuttavia il mio spirito polemico mi induce alla provocazione. Potrei domandare al mio amico, per esempio: “Hai mai visto una lucertola suonare il violino?” Penso che mi risponderebbe di no e ho la presunzione di credere che nessuno risponderebbe . Ma se un fosse, nessuno ci crederebbe (anche se gli esseri umani hanno creduto e continuano a credere a cose  forse ancora più incredibili).

Al suo no,   potrei forzare la provocazione: “ se le lucertole non suonano il violino, un motivo ci sarà!” e godermi la risposta, la quale, ad un esame superficiale, sembrerebbe talmente scontata da tacerne. Invece, a ben pensarci, di risposte ce ne sarebbero moltissime. Proviamo ad esaminarne qualcuna. Intanto non esistono violini delle dimensioni di una lucertola. Si potrebbe aggirare il problema  costruendo un violino piccolissimo, sacrificandone  tuttavia  le proprietà acustiche.  Oppure ingrandendo la lucertola; per esempio usando un coccodrillo, ma lasciamo perdere, sorgerebbero altri ostacoli. Poi le lucertole non stanno sedute, come in genere fanno i violinisti , ma, principalmente, non hanno spalle, collo e mento tra cui alloggiare lo strumento. E

non stanno sedute né hanno spalle, collo e mento perché sono rettili. Poi non sanno leggere la  musica. Mi si potrebbe obbiettare che si può suonare anche a memoria imparando la musica ascoltandola. Ma no, non possono  perché  sono rettili. A questo punto potrei infierire  dicendo che se i rettili non possono  leggere la musica, o suonarla a memoria, perché sono rettili, un motivo ci sarà che impedisce ai rettili di fare tutto ciò. Ma temo che l’amico  non saprebbe darmi una risposta accettabile. Al massimo forse mi direbbe che i rettili non hanno intelligenza sufficiente. Ma perché? Un motivo ci sarà. E poi, che cosa è l’intelligenza? La risposta più ovvia  è: la capacità di risolvere problemi. Bene. Allora un computer è intelligente? Deep Bleu che batte Kasparov a scacchi è più intelligente di Kasparov? Un computer che compone una sinfonia è intelligente come Beethoven? Ma torniamo alla  lucertola. Il mio amico, messo alle strette, potrebbe dire che il motivo della scarsa intelligenza e conseguente propensione musicale della lucertola è che ha il cervello piccolo. Al che io potrei controbattere ricordandogli che anche i passeri hanno il cervello piccolo eppure, seppur non suonino il violino, cantando vanno finché non muore il giorno e, pur con una certa monotonia, cantano davvero bene. Un motivo ci sarà. Se il mio amico avesse una cultura scientifica  potrebbe difendersi dalle mie angherie dialettiche tirando in ballo l’indice di encefalizzazione, ma io cambierei discorso, perché è un argomento troppo serio e in questa sede stiamo quasi scherzando. Possiamo accontentarci di dire, con un po’ di approssimazione, che il passero solitario si ricorda la sua musica, la lucertola no. Anzi, la lucertola non ricorda proprio niente. Uno dei più grandi paleontologi del secolo scorso, George Gaylord Simpson, disse che i rettili predatori attaccano quando vedono, o comunque percepiscono direttamente la preda. Se questa avesse l’opportunità di sparire all’improvviso dal palcoscenico della  percezione, il rettile se ne dimenticherebbe quasi subito  e si fermerebbe tranquillo in attesa di una nuova vittima sufficientemente ingenua o sfortunata da attirarne l’attenzione. A questo punto, se volessimo tentare di imbastire una risposta alla domanda cruciale che cosa è l’intelligenza, potremmo dire quanto meno che si basa sulla memoria o almeno su una certa capacità di immagazzinare informazioni per poi utilizzarle per risolvere tutti quei problemi che vanno  poco o tanto oltre  l’attimo presente, e che ciò presuppone pertanto una certa capacità predittiva. Ossia  ricordare-e-prevedere. Memoria e immaginazione. D’altra parte, a ben pensarci, anche noi orgogliosi umani suonatori di violino, quando invecchiamo  tendiamo a regredire allo stato lucertolare perdendo innanzitutto la memoria e proprio quella a breve termine (si chiama “memoria di lavoro”).  Possiamo ricordare un episodio della nostra infanzia e continuare a raccontarlo, perché ci dimentichiamo di averlo appena raccontato. E’ uno dei sintomi della demenza senile, o malattia di Alzheimer da quel povero professore che l’ha descritta per primo legando per sempre il suo nome al rimbambimento (curioso il fatto che etimologicamente rimbambire significhi tornare bambini, mentre è vero il contrario. Da bambini si ha il massimo dell’attività mentale; caso mai si potrebbe parlare di ritorno all’infanzia  più ancestrale della nostra evoluzione, i rettili appunto). Che tristezza! Ma perché poi? Siamo proprio sicuri che le lucertole siano  più infelici di noi? Basta malinconie: torniamo a bomba. Quanto più si hanno memoria e  immaginazione, tanto più si pre-vedono i problemi e tanto più si può disporre di materiale pre-immagazzinato per tentare di risolverli. Ma per risolvere un problema che non ci balzi addosso con l’aggressività e l’evidenza di un ostacolo, bisogna porselo (che, attenzione! non vuol dire crearselo), e per porsi un problema che non sia istantaneo (in questo caso si chiama stimolo) ecco, li si che ci vuole intelligenza. La lucertola non ce l’ha. Essa vive di reazioni a stimoli. Un motivo ci sarà, e torniamo ancora al cervello piccolo. Perché, dunque, ce l’ha piccolo? Il motivo è la postura rettile, orizzontale. I rettili hanno un assetto posturale e un comportamento locomotorio che porta tutto il carico muscolare del dorso ad estendere la testa, quindi grava sul cranio, impedendo al cervello di espandersi. Se ne accorse l’antropologo André Leroi-Gourhan e ne scrisse un breve trattato intitolato Meccanica Vivente, una disamina sulla struttura del cranio dai pesci all’uomo, tanto difficile quanto illuminante.  Mano a mano che la postura della colonna vertebrale si verticalizza (anfibi, uccelli, mammiferi, primati tra cui noi uomini, con cui la postura diventa pienamente  e stabilmente eretta), l’inserzione della muscolatura dorsale  sul cranio scivola indietro liberando progressivamente la volta cranica e il massiccio  prefrontale dai vincoli prima  della reptazione e successivamente della locomozione quadrupede e lasciando al cervello lo spazio fisico per espandersi. Un animale orizzontale non può essere intelligente, e neanche creativo. Non ne ha lo spazio. Non può  diventare mentalmente fertile, ossia  immagazzinare esperienze,  farle germogliare in emozioni, trasformarle in sentimenti, creare una cultura (ossia una coltivazione). Non può né  concepire, né leggere, né ricordare la musica e nemmeno percepirla come musica.   Ecco perché le lucertole non suonano il violino.