Cervo, Paolo Fresu:“Mai come adesso abbiamo bisogno di più arte e scienza”

“Qualsiasi musica suonata con il cuore fa parte di una religiosità che supera le barriere di ogni credo e di ogni diversità culturale”. Il primo fragoroso applauso (in realtà il secondo, dopo quello altrettanto caloroso che ha salutato “My funny Valentine” in apertura del concerto) si è acceso spontaneo dopo questa verità pronunciata dal trombettista sardo impegnato a spiegare al folto pubblico, riunito ieri sera non sul sagrato ma dentro la Chiesa dei Corallini, che le sopravvenute difficoltà legate al maltempo hanno costretto i musicisti a cambiare il programma della serata. “La Chiesa ci obbliga a rivedere un po’ le posizioni sonore del concerto stesso e dunque, sia per motivi tecnici – il rimbombo – che culturali – nei luoghi sacri il jazz “non si dovrebbe fare” – eseguiremo un programma in qualche modo dedicato a questoambiente. La musica dovrebbe sempre andare di pari passo con i luoghi”.

E’ iniziato così ieri sera il secondo appuntamento del Festival Internazionale di Musica da Camera di Cervo, con il Jazz dello straordinario Trio Fresu-Bardoscia-Rubino. E, a proposito di luoghi, soltanto cinque giorni fa il trombettista sardo, da sempre sostenitore della funzione sociale e civile della musica, ha suonato a Perugia – con il virtuoso del bandoneon Daniele di Bonaventura e l’Orchestra da Camera della città – in cima ad un cedro secolare a dodici metri di altezza, per attirare l’attenzione sul tema del rispetto dell’ambiente.

“Mai come adesso abbiamo bisogno di più arte e scienza”. Le parole di Fresu ci fanno riflettere su quanto la creatività e la ricerca, troppo spesso trascurate nella nostra società frenetica dei consumi, siano importanti per tornare ad avere maggior rispetto della natura e delle sue meraviglie. E dunque anche dell’Uomo. Natura, Arte, Scienza: tre nodi al centro della riflessione umana fin dall’Antichità, ma che soprattutto agitarono gli animi e l’immaginazione dei creativi di uno dei secoli più inquieti e rivoluzionari della cultura occidentale, il ‘600, il secolo del Barocco, che in fondo ha tante affinità con la nostra epoca, con le sue contraddizioni e la sua perdita di punti di riferimento…Ed ecco che ci tornano in mente i versi straordinari del Marino, poeta secentesco, che descriveva con parole “pirotecniche”, tratte in gran parte dal linguaggio musicale, la gara tra un usignuolo ed un suonatore di flauto: Fa de la gola lusinghiera e dolce/ talor ben lunga articolata scala./ Quinci quell’armonia che l’aura molce,/ ondeggiando per gradi, in alto essala,/ e, poich’alquanto si sostiene e folce,/ precipitosa a piombo alfin si cala./ Alzando a piena gorga indi lo scoppio,/ forma di trilli un contrapunto doppio…

Una sana competizione, quella tra Arte e Natura, se rivolta all’obbiettivo di una maggior collaborazione e rispetto tra Uomo e Ambiente.

Ecco: Fresu, novello usignuolo della tromba, come tutti i grandi artisti, sa comunicare messaggi oltre che note, portando l’attenzione sulle grandi tematiche che la musica ha la capacità di veicolare e diffondere.

Il Sagrato dei Corallini, sbocco di quella ragnatela di vicoli abbarbicati sul promontorio che si affaccia sul mare, avrebbe dovuto essere il luogo del concerto, adatto tanto quanto il cedro di Perugia a stimolare la riflessione su uomo e ambiente. Ma gli eventi hanno sconvolto i piani e così anche il programma musicale è cambiato e, come sempre nel Jazz, l’improvvisazione ha aggiunto vita, valore e calore alla performance. Paolo Fresu alla tromba e flicorno, Marco Bardoscia al contrabbasso e Dino Rubino al pianoforte avrebbero dovuto suonare i brani tratti da “Tempo di Chet”, progetto nato come spettacolo teatrale un paio di anni fa e divenuto anche un album, dedicato a Chet Baker, personalità tanto complessa e distruttiva nella vita quanto capace di costruzioni formali limpide e perfette nella musica.

In realtà, come preannunciato da Fresu in apertura, i riferimenti al geniale trombettista americano bello e dannato ieri sera ci sono stati – anche sotto forma di due brevi registrazioni delle sue liriche linee melodiche suonate e cantate – ma non sono stati molti. Per lo più il concerto, più che brani separati, ciascuno con il proprio tema e i propri soli ben in evidenza, ha proposto un fluire continuo di musica destrutturata, come un mare ora poco agitato, ora in tempesta, ora completamente calmo, dal quale emergevano d’in tanto i temi, spesso originali, talvolta noti, come è il caso di “Estate”: il meraviglioso tema di Bruno Martino è affiorato in mezzo a sonorità che imitavano la musica della natura ed è diventato subito blues nell’improvvisazione di Fresu, per poi allontanarsi ancora di più dal cammino segnato con le strabilianti invenzioni “out” di Rubino.

Il giovane pianista, che è anche un notevole trombettista, è stato in diversi momenti il motore trainante e dirompente, una fucina di idee immediatamente colte e sviluppate da Bardoscia che ha fatto del contrabbasso un “pluristrumento”, capace di suoni ora percussivi e quasi funky, ora chiari e classici con l’impiego dell’arco.

Insomma il Trio ha travolto la platea in un viaggio straordinario (replicato mezz’ora dopo per il secondo turno previsto per motivi legati alla prevenzione del Covid) che si è concluso con un bis alquanto insolito: su “Auld lang syne”, proposto da Rubino quasi come un tema con variazioni, si è innestata una melodia ancora più solenne della tromba di Fresu, con contrappunto e cadenze di sapore antico, che ad un certo punto è scivolata in swing per tornare a farsi severa nel finale.


E la promessa è stata mantenuta: la Musica deve andare sempre di pari passo con il Luogo.

Foto courtesy ufficio stampa Festival di Cervo credits Marcello Nan.