Mai smettere di giocare, consigliano gli psicologi, anche quando non si è più bambini. Mai perdere l’occasione di trasformare una sedia in un trampolino per il cielo o un attaccapanni in un supporto per danzare il limbo. I cinque ragazzi scatenati di “The Black Blues Brothers”, spettacolo nato dalla fantasia di Alexander Sunny, in scena ai Teatri di Sant’Agostino del Teatro della Tosse ancora l’11 e il 12 novembre, sembra incarnare questa regola: non è troppo tardi per ridere e sorridere, per godere della bellezza di un movimento, dell’armonia che si genera fra i corpi.
Si può parlare di acrobazie, di ginnastica artistica, ma viene invece in mente il virtuosismo di Paganini, nel vedere le diagonali di rondate e gli equilibri pericolosi che i “terrible five” kenioti propongono sul palco della Tosse. L’arredo della scena rimanda subito al Cotton Club o, se vogliamo, ai dimenticati tabarin di casa nostra: il fumo denso avvolge sulla destra una specchiera illuminata, come in un camerino d’altri tempi, sulla sinistra un mobile bar ben fornito di bottiglie, il cui bancone ospita una vecchia radio che si illumina di una luce calda e irradia una vecchia canzone, “Dream a Little Dream of me”. Mentre il finto barista lava i bicchieri, al centro, sul pavimento optical, un ragazzo pulisce la sala, distratto dai ritmi che giungono dalla radio. Proprio non può fare a meno di danzare: è così che nasce il movimento, si può dire che sboccia, in un crescendo di energia. Da “Soul Man” al twist di “Pulp Fiction”, da “Waka Waka” a “Gangnam Style”, sono i battiti del tempo a fare da tappeto a uno spettacolo che, pur non portando sul palco grandi innovazioni, trasmette al pubblico un’energia buona e, potremmo dire, d’altri tempi. Le gag, a volte ingenue, dei cinque performer rimandano a un tempo in cui si poteva scherzare sul corteggiamento senza paura del politically correct; il surreale è altrettanto efficace e porta subito alla risata, come quando dallo strip-tease forzato di uno dei protagonisti compaiono improbabili oggetti, quali un ombrello e una sveglia. Si accendono le torce, ed è subito arte di strada, ma un momento dopo è una piramide di sedie a sostenere un difficile e pensoso equilibrio. I corpi, qui, sono protagonisti: alcuni monumentali e potenti, altri agili e flessuosi, sempre impegnati in movenze eleganti. Funziona l’interazione con il pubblico, coinvolto anche sul palco, con buona dose di ironia e autoironia per tutti.

Si potrebbe dire che “The Black Blues Brothers”, forte di 800 repliche in tutto il mondo, premiato al Fringe di Adelaide, sia uno spettacolo di pura evasione, ma non è proprio così. A volerle cercare, le metafore si trovano ovunque: nel castello di sedie, in miracoloso equilibrio, si legge la difficoltà di reggersi in piedi, quando tutte le forze trascinano in basso. E, soprattutto, racconta molto di noi la vecchia radio che, in una delle gag, si cerca di distruggere: gettata in un bidone dell’immondizia, privata dei suoi transistor, continua a suonare, segno di una vitalità interiore che nessuno potrà mai spegnere. Dopotutto, forse basta avere il coraggio di sognare: “Dream a Little Dream of Me”…