Gli enfant prodige sono fenomeni da prendere in considerazione sempre con molta prudenza. Li si ascolta con ammirazione, si è portati ad esaltarli, ma nello stesso tempo si è consapevoli che la maggior parte di loro è condannata inevitabilmente a rientrare nella norma con il trascorrere del tempo. Pochi nella realtà rimangono autentici fuoriclasse anche in età più matura.
Fra questi va annoverata senza dubbio Alexandra Dovgan.
L’avevamo ascoltata nella stagione concertistica della GOG 2019/2020: una bimbetta di 12 anni con notevole grinta e un talento naturale ineccepibile ben coltivato attraverso uno studio rigoroso a Mosca. Una promessa, insomma. Ieri sera la Dovgan è tornata alla GOG. Gli anni ora sono 18 e quella promessa è diventata una realtà: difficile a questo punto non prevedere per la giovane artista un ruolo di primo piano nel concertismo internazionale.
Beata gioventù, la Dovgan non si è certo risparmiata scegliendo un programma decisamente arduo e impegnativo, sul piano tecnico e soprattutto sotto l’aspetto interpretativo. E ha regalato una serata da annoverarsi fra le più interessanti delle ultime stagioni della G.O.G.
La giovane artista ha un bagaglio tecnico ineccepibile, che tuttavia non è fine a se stesso, ma al servizio di una sensibilità straordinaria. Totale, poi, il controllo del suono che si è riscontrato sotto due aspetti differenti: da una parte la capacità di cambiare “scenario” nel passaggio da un autore a un altro; dall’altra la chiarezza con cui il discorso musicale si è sviluppato anche nei pianissimi più soffusi senza mai perdere nulla della propria coerenza strutturale.

L’avvio è stato sorprendente. La Sonata op. 110 di Beethoven è fra le vette del pianismo di tutti i tempi, richiede maturità espressiva, solido dominio della tastiera: e sono bastate le prime note, soppesate, meditate, piene, a evidenziare le ammirevoli scelte interpretative della Dovgan che poi ha regalato una lettura quanto mai limpida e trasparente della magistrale fuga.
Non da meno la esecuzione della successiva Sonata op. 22 di Schumann, autore non immediato per il suo linguaggio denso e complesso, restituito tuttavia con eleganza e nobiltà espressiva.
Seconda parte aperta dal “Preludio, corale e fuga” di Franck, altra opera di profonda concezione che la Dovgan ha letto con lucidità, ancora una volta cogliendo il “suono” adatto ad esaltarne la sostanza interiore, nel passaggio dal preludio, al meditativo corale alla irta fuga conclusiva.
Infine la Sonata n.2 di Prokof’ev che, insieme alla citata pagina beethoveniana d’apertura, ha rappresentato il clou del recital: qui il panorama sonoro è cambiato del tutto, la Dovgan ha usato approcci più duri e aggressivi evidenziando anche una potenza di suono e di gestualità non indifferente. Le autentiche e insistenti ovazioni finali l’hanno costretta a due bis: Skrjabin e Bach e di quest’ultimo, un gioiello di poesia e di cantabilità, (l’aria dalla Cantata BWV 147) sussurrata dalla Dovgan con impalpabile delicatezza.