Umanità di Sigfried

E’ in scena alla Scala con grande successo di pubblico e di critica Sigfried, seconda giornata della Tetralogia wagneriana, affidata alla direzione di Simone Young e alla regia di David Mc Vivar con un eccellente cast. Qui di seguito una riflessione sull’opera del nostro collaboratore Marco Pescetto.

La redazione

In una atmosfera cupa, fiabesca e misteriosa inizia la seconda giornata dell’anello intriso dei suoni gravi del basso tuba e tromboni che costituiscono il suggestivo scenario di Sigfrido,  protagonista sfrontato, selvaggio ed eroico dell’apice della storia musicale più appassionante dell XIX secolo. Figlio dei Welsidi, generazione mortale pur nata da un dio, Wotan, congiunto con Erda semidea, non conosce nulla delle sue radici e forse per questo è  un rozzo, grezzo uomo alla ricerca del suo destino. E l’opera si incentra proprio su di lui, l’ultimo eroe della saga prima della distruzione massiva di tutti , della terza giornata. L’orchestrazione dettagliata, imponente e cucita sulla pelle dei protagonisti non fa rimpiangere la grandezza e la sensibilità di Walkiria e dell’Oro del Reno. I temi ostinati e seducenti degli archi immergono lo spettatore all’interno di una storia avvincente e inclusiva che diventa tutt’uno con la saga che lo trascina per tutte le tappe del dramma. E quando il giovane eroe chiede al nano Mime di parlargli delle sue origini , questi gli dice che sua madre poco prima di morire lo ha partorito, prova un momento di grande angoscia.  “Quindi mia madre è morta per me?” È con questo dolore profondo che nasce in lui l’istinto del riscatto. In tempo reale il flusso  orchestrale aderisce intimamente all’emozioni e reazioni dell’eroe, divenendone l’interprete privilegiato. E allora ricompone i resti della spada Notung per uccidere il drago e appropriarsi dell’anello preso dal gigante Fafner. La scena della comparsa del drago nelle sembianze di un mostro tentacolare sormontato da un grande teschio è terrificante e innervata dai suoni potenti e agghiaccianti di tutti gli ottoni compresi basso tuba e tube wagneriane generanti terrore. La regia di Mc Vivar è estremamente efficace. Sigfrid,  che non conosce ancora la paura trafigge il cuore del mostro e pone le premesse della tappa successiva, bevendo il sangue della vittima.    Ucciso il nano Mime che voleva mettere mano all’oro dell’anello, nel secondo atto Sigfrid con l’aiuto del canto di un uccellino si mette in cammino per cercare la mitica donna che deve svegliare da un sonno profondo. Incontrato il viandante Wotan, suo nonno, che lo minaccia con la sua lancia , Sigfrid gliela spezza come Wotan aveva spezzato la spada a Sigmund,  suo padre nella Walkiria. Per il dio Wotan, in decadenza di potere è il momento di farsi da parte. L’eroe,  guidato dall’uccellino raggiunge una figura umana nella foresta, adagiato su una roccia. Tolto l’elmo e l’armatura  si accorge che  è una donna e che dipende da lui risvegliarla da un sonno profondo.  Il suono delle arpe insieme a quello dei violini divisi precede il culmine della temperatura emotiva  della scena qualche secondo prima del bacio dell’eroe .È  forse questo momento che descrive con dovizia di particolari la sintesi coerente di tutta l’opera che termina bruscamente accolta da un fiume di applausi sinceri