Nell’intensa cornice del Festival Teatrale di Borgio Verezzi, giunto quest’anno alla sua 59ª edizione, è andata in scena, ieri sera (con replica questa sera), in prima nazionale Il Raggio Bianco, un nuovo lavoro di Sergio Pierattini diretto da Arturo Cirillo, prodotto dal Teatro Nazionale di Genova. Uno spettacolo che lascia il segno, soprattutto grazie a un’interpretazione straordinaria di Milvia Marigliano nel ruolo della madre – una delle più potenti e toccanti che io abbia mai visto su un palcoscenico.
Una madre e una figlia – interpretata da una sensibilissima Linda Gennari – si muovono in uno spazio chiuso, un interno di periferia dove la pioggia, le tapparelle abbassate e le luci fioche creano un’atmosfera sospesa, quasi da thriller psicologico. A loro si unisce, con tensione crescente, il giovane Raffaele Barca, nei panni di un ragazzo misterioso che porta con sé frammenti del passato e del presente, facendoli deflagrare in una drammaturgia che è insieme intima e sociale.
Ma è Milvia Marigliano a dominare la scena con una recitazione che definirei “teatrale, ma non teatrale”: una recitazione che non cerca di piacere, ma di essere. Il suo personaggio è costruito con tale naturalezza, intensità emotiva e umanità da farci dimenticare di trovarci davanti a un’opera di finzione. Non recita per il pubblico: esiste. E noi, spettatori, siamo lì come davanti a una scena familiare da spiare con discrezione, come nella “Finestra sul cortile” evocata dal regista nella sua nota. Un equilibrio perfetto tra distanza e coinvolgimento.
La regia di Arturo Cirillo è essenziale e profondamente efficace. La stanza in cui si svolge tutta l’azione diventa un mondo chiuso e carico di tensione. Nulla esce da lì, ma tutto accade dentro – nei silenzi, negli sguardi, nei sospiri. Anche grazie alla scena di Dario Gessati, ai costumi curati da Gianluca Falaschi e Anna Missaglia, alle luci precise di Aldo Mantovani, e soprattutto alle musiche suggestive di Paolo Coletta, che accompagnano lo spettacolo senza mai sovrastarlo, creando un ambiente sonoro capace di sostenere le emozioni con leggerezza e profondità.
Il testo di Sergio Pierattini, pieno di interruzioni e contrappunti, sembra costruito per restituire proprio quel senso di reale imperfezione che rende vivi i personaggi. Una scrittura viva, asciutta e piena di sottintesi, che ci porta a riflettere sulla solitudine, sul dolore, sul potere e sull’amore in forme ambigue e conflittuali.
Un’ora e quaranta che volano. Ma non passano invano.