Cristo, Nietzsche, le discoteche e i papi

 Il 25 agosto di 120 anni fa, più o meno a mezzogiorno, moriva   Friedrich Wilhelm Nietzsche, di polmonite (proprio così!), all’età di 56 anni, dopo  gli ultimi 12 di nebbiosa follia.

Molto poco hanno dedicato i media all’anniversario che forse interessa ormai soltanto alcuni cultori, la massa essendo tutta presa dalle vicende epidemiche e da piccoli eventi di contorno, come per esempio il contagio asintomatico di un noto manager e dei suoi adepti, in un locale notturno tempio della parte più retriva di un nihilismo fatuo,   inconsapevole, ma imperante.

A Roma intanto due papi, entrambi in verità ancora in carica, seppur con ruoli diversi, si contendono ufficiosamente, fra rispettivi eserciti di reciproci scudieri,  la qualifica di vicario di Cristo. Ecco subitamente delineati i protagonisti di queste mie riflessioni, stigmatizzate dal titolo volutamente provocatorio. A ciò possiamo aggiungere, a livello planetario, la presenza di due tendenze social – politiche: il sovranismo e il globalismo. E su tutto, infine, l’eterna contesa, tipicamente umana, fra la vita e la morte. Sì, perché di Cristo interessa soprattutto la morte, tramite la quale avviene la redenzione e, d’altra parte, Nietzsche è noto  quasi a tutti  per il suo concetto più scandaloso, la morte di dio. Ecco allora che si delinea un fatto di per se sconvolgente, e cioè che la vita, protagonista assoluta sulla superficie terrestre da milioni di anni, non è più centrale per l’ultima  specie giunta, l’umana, ma ne divide la centralità  con la morte, per lo meno da quando  ne assumemmo consapevolezza. Ma adesso, con gli equilibri politici ed economici di una società ormai estremamente complessa per il numero degli individui (ad oggi quasi 8 miliardi) e per le modalità di comunicazione, appannaggio della tecnica e della tecnologia, la vita umana si relativizza ulteriormente. Il risultato  si chiama globalizzazione, che vuol dire che gli eventi che contano, ormai, riguardano tutto il globo e trascendono la vita biologica degli individui. In effetti la globalizzazione, o mondialismo, è nata il secolo scorso con le prime due guerre veramente mondiali, mentre prima erano  fra stati sovrani, a difesa o a imposizione della propria sovranità. Negli ultimi mesi abbiamo assistito addirittura alla prima epidemia globale. Prima di globale c’era solo la morte, da oggi ci sono anche le malattie. Tutto ciò grazie alla tecnologia che estende la comunicazione praticamente senza confini e in tempo reale. Chi ha la polmonite in Cina e magari ne muore, dopo poche ore può  contagiare un italiano, il tempo di un volo transcontinentale; tutti lo vengono a sapere, con un click, e tutti insieme, sempre con lo stesso click, ne hanno paura; e siccome oltre alle infezioni, anche le emozioni sono contagiose, ne derivano  ossessioni sociali che sono pure malattie e che si affiancano alle virosi, aggravandole.

Tecnica e tecnologia si sviluppano perché sostenute dal denaro, il quale è figlio del mercato. Più il mercato è vasto, più frutta denaro; dunque mercato, denaro, tecnologia e ancora mercato con il ciclo che riparte e si autoreferenzia, come è norma nei sistemi complessi.  Se  il mercato abbraccia tutto il globo, il denaro si assurge a imperatore (imperialismo del mercato), anzi a dio. Il noto manager contagiato fra le danze  notturne della sua tribù, afferma che in discoteca la gente spende, quindi il denaro circola, e più circola, più ce n’è per tutti (specialmente per lui). Sotto certi aspetti è vero. Ma la realtà è un po’ più complessa. Lo sapevamo già. Lo sapeva anche  Gesù 2000 anni fa, quando il sistema era molto meno complesso. A Gerusalemme  “Gesù entrò nel tempio e scacciò  tutti quelli che vi trovò a comprare e a vendere; rovesciò  tavoli dei cambiavalute e le sedie dei venditori di colombe e disse loro: la mia casa sarà chiamata casa di preghiera, ma voi ne fate una spelonca di ladri.”(Matteo, 21, 12-13).

Anche Nietzsche, da parte sua,  se ne era accorto e nell’aforisma 125 della Gaia Scienza intitolato l‘uomo folle scrive: “Avete sentito di quell’uomo folle che accese una lanterna alla chiara luce del mattino, corse al mercato e si mise a gridare incessantemente: “Cerco Dio! Cerco Dio!”[………]Dove se n’è andato Dio? – gridò – ve lo voglio dire! L’abbiamo ucciso, voi ed io! Siamo noi tutti i suoi assassini!…”

Dio dunque è morto e l’abbiamo ucciso noi, sembra al mercato. Però c’è un problema. E’ molto difficile fare a meno di dio. Non è facile essere atei. Contrariamente alle apparenze, è molto più facile essere credenti. La trascendenza, da cui deriva il senso di dio, fa parte della natura umana (ne è figlia anche la tecnica). Essere atei non significa  soltanto dire dio non esiste. Essere atei suppone un lungo lavoro di autoanalisi, lucida e spietata. Vuol dire negare non solo  dio, ma una parte di se stessi. Altrimenti si scivola in un ateismo ingenuo (liquido per dirla con Heidegger), che è  quello della maggior parte degli occidentali (forse anche di altri, ma non ne conosco) e che si esprime più o meno così: Dio non c’è, quindi me ne frego. Dio diventa inesistente.Oppure, per i più cauti: sì, penso che qualcosa esista, forse dio, ma per ora non ho tempo di occuparmene. Dio diventa irrilevante.  Che è peggio. Se fossi dio mi arrabbierei ancora di più. In ogni caso finiamo per occuparci di altre cose;  di giocare, per i bambinoni; o, per i più concreti, della tecnologia e del denaro che danno potere, sicurezza, risolvono problemi,  ci fanno vivere più a lungo e comodamente,  ci fanno guarire dalle malattie, eccetera. In effetti,   offrono quello che eravamo soliti chiedere a dio, prendono il posto di dio. Non siamo quindi atei, crediamo solo di esserlo. Abbiamo  spostato il nostro culto. Nell’antichità non si poteva vivere a prescindere da dio o dagli dei. Nei poemi omerici gli dei dialogano e interloquiscono abitualmente con i mortali, ma anche Socrate, prima di parlare, doveva vedersela col suo daimon, che poi è una specie di dio personale. Oggi invece non si può vivere a prescindere dal denaro (e quindi dal mercato) e dalla tecnologia. Non usciamo nemmeno di casa senza il portafoglio, il cellulare e le chiavi della macchina. Un secolo fa, quando il cellulare e le chiavi della macchina non esistevano ancora, Nietzsche già  ci metteva in guardia. Dio è morto, ma non possiamo vivere senza di lui. Il superuomo nietzschiano, in fin dei conti, è colui che sa vivere senza dio e  i suoi surrogati.

Tutto questo sia Ratzinger che Bergoglio lo hanno capito, ma lo affrontano in maniera opposta. Nietzsche,  sempre nello stesso aforisma dice: “Che mai facemmo per sciogliere questa terra dalle catene del suo sole? Dov’è che si muove ora? Dov’è che ci muoviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E all’indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando attraverso un infinito nulla?…” E’ la nascita del nihilismo. Ratzinger, teologo e filosofo, è stato l’ultimo papa a cercare di resistere al mondialismo relativista e nihilista. Per Ratzinger esistono ancora valori non negoziabili. Negozio vuol dire mercato. Bergoglio, uomo di mondo, dice di trovarsi a disagio, francamente, sui valori non negoziabili. Nel paragrafo 48 della Caritas in veritate Ratzinger scrive: “E’ contrario al vero sviluppo considerare la natura  più importante della stessa persona umana. Questo pensare induce ad atteggiamenti neo pagani o di nuovo panteismo. Dalla sola natura intesa in senso pienamente naturalistico non può derivare la salvezza dell’uomo.”

Bergoglio inserisce il dubbio. Significativa la sua monografia intitolata proprio Natura madre terra. Durante il Sinodo dell’Amazzonia  parla quasi esclusivamente di natura, di ecologismo, di conservazione delle specie in pericolo. L’accento più frequente dei suoi discorsi cade sulle migrazioni dei popoli, sulla tolleranza, su questioni sociali e umanitarie, sulla libertà dei porti. E’ dio che vuole entrare. Francesco si fa promotore di un’unica religione (aperture all’Islam, ai cristiani ortodossi ecc.) fondata sull’amore, in pratica una teologia senza Cristo. Benedetto XVI invece pone ancora Cristo al centro della cristianità  che non è figlia dell’amore, ma ce lo ha insegnato. Rifiuta la chiesa di Bergoglio perché porta, per dirla con Heidegger,  all’ateismo liquidoe alla   sdivinizzazione del mondo. Questa doppiezza è segno della profonda crisi della teologia, non solo   monoteistica, perché anche il politeismo greco, pur con  tanti dei, aveva una sola teologia.

Dice ancora Nietzsche:” Si racconta ancora che l’uomo folle abbia fatto irruzione, quello stesso giorno, in diverse chiese e quivi abbia intonato il suo Requiem aeternam deo. Cacciatone fuori e interrogato, si dice che si fosse limitato a rispondere invariabilmente in questo modo: “Che altro sono ancora queste chiese, se non le fosse e i sepolcri di Dio?” ”

Nietzsche è stato l’ultimo profeta. Dio è morto davvero. Ma chi non sa vivere senza di lui abbia fede. Egli può risorgere in qualsiasi momento.