Il 22 novembre 2007 a Losanna si spegne il coreografo francese Maurice Bejart. Aveva 80 anni precisi. Parlare di Bejart senza cadere nella banalità di scrivere le solite cose che giustamente ne esaltano talento e bravura è difficile per questo cercherò di raccontarlo per quello che ha dato a me e alla città di Genova.
I genovesi hanno avuto modo di apprezzare il suo lavoro quando il “Ballet du XXème siècle” fu invitato da Mario Porcile nel 1964 per la VII edizione del Festival Internazionale del Balletto di Nervi. In programma c’erano: Jazz Impressions su musiche di Davis, Monk, Blakey e Mingus (coreografia di Vittorio Biagi); Fiesta su musiche popolari messicane; Promethèe e il Bolero, capolavoro assoluto non soltanto di Ravel, che per altro sempre il 22 novembre ma del 1928 debuttò all’Opera di Parigi danzato da Ida Rubinstein, ma naturalmente di Bejart che con questa creazione guadagnò il successo internazionale.
Sarà proprio con il “Ballet du XXème siècle”che Béjart, per ben 27 anni, creerà una lunga e felice serie di lavori, alcuni dei quali diventati veri e propri classici, uscendo in applauditissime tournées, dai consueti spazi teatrali per portare il suo messaggio di forza e di bellezza alle più varie platee in stadi e palasport (clamoroso esempio fu la Nona Sinfonia di Beethoven che batté tutti i record di pubblico).
Lo splendido Bolero di Bejart tornerà a Nervi nel 1980 quando ad interpretarlo nel ruolo principale fu Luciana Savignano contorniata dai solisti ed il corpo di ballo del Teatro alla Scala nelle serate del 24/25/26 luglio che festeggiavano i 25 anni del Festival con lo spettacolo “Nervi, mia cara”.
Bejart sarà nuovamente protagonista del Festival Internazionale del balletto di Nervi nel 2000 quando fu chiamato come consulente artistico della kermesse (carica che mantenne anche nel 2001) quando la manifestazione ha avuto sede al Teatro Carlo Felice. Io ebbi modo di avvicinarlo nel 2004 alla conferenza stampa dell’ultima edizione del festival, la 34esima a cui prendeva parte la sua compagnia. Quello che mi colpì di lui era il forte magnetismo propagato dai suoi occhi. Blu, lunghi, profondi e bellissimi, quegli occhi erano capaci di esprimere la grandezza dell’artista che era anche se non avesse proferito verbo. Occhi in cui era chiarissimo leggere quella perenne pulsione a superare i confini geografici dei linguaggi danzati e danzanti. “La danza è unione, unione dell’uomo con l’uomo, dell’uomo con il cosmo, dell’uomo con Dio”questa era la sua convinzione e per questo i suoi spettacoli usavano un linguaggio “totale” che oltre alla danza si avvaleva dell’inserimento di parole e immagini oltre che di movimenti. Ricordo che in quell’occasione fece presente che la sua amicizia con Grotowski aveva molto influenzato il suo percorso che sia pur diferrente da quello del regista teatrale polacco utilizzava la primordialità espressiva che c’è in ogni uomo.“ La danza è nata prima della scrittura ricordiamo che gli uomini hanno imparato prima ad esprimersi con la danza e poi attraverso le parole”. E sorridendo aggiunse ”purtroppo hanno poi disimparato a danzare per parlare troppo” (come dargli torto…).

Nell’edizione del festival da lui diretta, il 16 luglio del 2000 portò sul palco del Carlo Felice la prima nazionale di «Enfant-roi» creato su musiche di Mozart e Hugues Le Bar, una megaproduzione, che aveva debuttato un mese prima, a giugno, nei giardini del Castello di Versailles, consacrata al mito di Luigi XIV. La celebre compagnia Béjart Ballet Lausanne si esibì inoltre, il 20 e il 21 luglio con «Le présbythère n’a rien perdu de son charme, ni le jardin de son éclat», riorchestrato su brani di Mozart e dei Queen, idealmente consacrato a tutti quegli artisti recentemente morti di Aids, compreso Jorge Donn, stella del Ballet du XX Siècle di Béjart. Mentre il 23 luglio era in programma Carte Blanche a Maurice Béjart con la prima italiana de «Le manteau», liberamente ispirato a Gogol e la presenza di stelle di eccezione come Carla Fracci e Maia Plisetskaya.
Nella 34esima edizione del festival, quella del 2004, la compagnia Béjart Ballet Lausanne portò al Teatro Carlo Felice in prima italiana La musique souvent me prend comme une mer e Ciao Federico , dedicato al regista Federico Fellini, e al Teatro della Tosse Carte blanche à Maurice Béjart. Le tre coreografieportavano la firma di Maurice Béjart .
A 14 anni dalla sua scomparsa possiamo senza dubbio affermare che nel pamorama della danza attuale manca una figura come quella di Bejart che come pochi altri ha segnato in maniera indelebile il mondo dell’arte coreutica.