Carlo Felice, Tosca di simbolismi e sentimenti estremi targata Livermore

Debutto brillante, da tutto esaurito, per “Tosca”  al Teatro Carlo Felice di Genova con altre cinque recite in programma sino al 5 marzo. Un ritorno in grande stile dopo le notissime versioni di Davide Livermore del 2014 a Genova e del 2019 a Milano, che in diversi in platea ben ricordavano. Prima ancora delle voci, e sembrerebbe davvero blasfemo da dire, l’attenzione e la curiosità del pubblico si è infatti concentrata sulla regia e sulle scene di Davide Livermore a rinsaldare e rendere ancora più struggente l’abbraccio tra eros e thanatos dei protagonisti Tosca e Cavaradossi, disturbato dalla bramosia del perfido Scarpia, in un contesto storico ben definito, in cui fanno eco gli avvenimenti rivoluzionari della Francia e la caduta della prima Repubblica Romana. Ed è proprio questa contestualizzazione a rendere pregnante, più realistico il sentimento, gelosie e tradimenti, vendette e passioni, sino al dolore della morte che gabba i programmi di vita, calando letteralmente lo spettatore in un’altra epoca, tramite un susseguirsi di scene dalla forte caratterizzazione simbolica. Basti pensare alla Croce, al Cristo, alla colomba, alla Luna, all’Angelo che sul finale dà un segno inequivocabile. Rimandi letterari e spirituali che connotano di volta in volta il grande cuneo centrale rotante, che rende innaturale in alcuni momenti recitare in discesa, ma che funziona benissimo e piace, convince, ammalia. Movimento, dinamismo, proiezioni vengono apprezzate anche dai più rigidi conservatori, quelli che contestano le regie più sfidanti.

Tanto è il pathos raggiunto in scena dai cantanti che mal si sopporta l’intervallo o il breve passaggio tra gli ultimi atti, a rompere quel filo drammaturgico che lascia lo spettatore, anche quello che conosce la trama sin nei minimi dettagli, sul filo del rasoio. Ben scrive Ludovica Gelpi sulla struttura musicale dell’opera che segue la tensione drammaturgica. “Non ci sono infatti nette separazioni tra i momenti di dialogo e i momenti lirici – spiega Gelpi-, piuttosto un continuo, in cui i motivi tematici associati a ciascun personaggio, che cambiano forma continuamente, sono tra di loro intessuti con grande coesione, e costituiscono un vero e proprio livello drammaturgico musicale. La scrittura armonica raggiunge momenti quasi sperimentali, senza timidezze nell’uso di dissonanze dal tono quasi espressionistico nei momenti di maggior tumulto in scena. Il talento melodico di Puccini è poi elemento evidente, alcune delle romanze di Tosca, in particolare “Recondita armonia”, “Vissi d’arte” e “E lucevan le stelle”, hanno goduto e tutt’ora godono di una fama incredibile”.

Grandi voci, ottime interpretazioni, a volte debole in generale la presenza scenica dei personaggi, eccellente l’orchestra del Teatro e la direzione raffinata di Pier Giorgio Morandi, bene  il Coro. Forte e non convenzionale la scena delle ripetute pugnalate di Tosca, dolorosa più che improntata alla furia distruttiva, a ricordare drammi contemporanei. Brilla tra tutti lo Scarpia di Amartuvshin  Enkhbat, bravi Riccardo Massi e Maria Josè Siri. Per chi va a Teatro nei prossimi giorni si suggerisce anche di soffermarsi sulla mostra “Dis/Integration” nel foyer, firmata Cesar Meneghetti, coi lavori di decine di artisti dei laboratori della Comunità di Sant’Egidio.