Il fenomeno Laplante, fra dramma e ironia

Cosa hanno in comune Giacomo Matteotti e Edgar Laplante? Naturalmente nulla. Ma nel 1924 le loro diversissime vicende si incrociarono in uno dei momenti più tragici della storia italiana.

A unirli in un racconto divertente e drammatico insieme è stato Maurizio Patella autore dello spettacolo Il fenomeno Laplante – Lo strano caso del capo indiano fascista, presentato ieri sera in prima nazionale dal Teatro della Tosse con la regia di Emanuele Conte.

La storia, dunque, risale alla tarda primavera del 1924: il 10 giugno Giacomo Matteotti, segretario del partito socialista unitario viene sequestrato e assassinato da un gruppo di fascisti. Il suo corpo è ritrovato circa due mesi dopo. E proprio in quel periodo a Roma giunge la visita di un importantissimo capo tribù dei nativi americani: Cervo Bianco, venuto in Europa per portare le rivendicazioni del suo popolo. Nella sua tournèe Cervo Bianco viene acclamato dalle folle, adorato dalle donne, accolto come il Salvatore della Patria. Dichiara di voler stabilire una sacra alleanza tra il suo popolo e quello italiano: vuole vestire i suoi nativi americani in camicia nera! Un affresco, insomma, irriverente di un’Italia immersa in un nazionalismo da operetta contraddittoria e crudele. Ma chi era davvero Cervo Bianco? Si chiamava, appunto, Edgar Laplante era un piccolo truffatore americano. Ingaggiato per impersonare un indiano nella tournée promozionale del film “I pionieri”, era approdato prima in Inghilterra; poi era fuggito in Francia e da lì era sceso in Italia accolto con tutti gli onori dal governo fascista. Una volta scoperto, era fuggito in Svizzera: lì raggiunto da un mandato di cattura emesso dall’Italia, processato a Torino e condannato nel 1926 a cinque anni. Graziato nel 1932, rientrò negli Stati Uniti.

Basandosi dunque sul testo di Patella, il regista Emanuele Conte, potendo contare sulla verve di tre ottimi attori quali Luca Mammoli, Enrico Pittaluga e Graziano Sirressi, ha creato uno spettacolo assai godibile, nello spirito di un cabaret futurista, giocato sull’ironia, ma anche sul sorriso amaro. Si ride, certo, al ritratto di una Italietta credulona, ma l’ombra di Matteotti incombe a ricordare che purtroppo non si tratta di un divertente buffoneria, ma di una tragica realtà. Lo spettacolo scorre con buon ritmo, le gag si susseguono in maniera intelligente, risolte con intelligenza, verve e buon gusto dal trio affiatatissimo di attori.

Un bello spettacolo davvero che diverte e fa pensare.

Applausi calorosi.