Glory Wall: l’arte vive di costrizione e muore di libertà

  • Post Author:Sofia Pezzi
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La stagione del Teatro della Tosse si è conclusa con lo spettacolo Glory Wall, vincitore alla Biennale di Venezia 2020 come miglior spettacolo sul tema della censura.

Ma che cos’è la censura e soprattutto come si può proporre uno spettacolo sulla censura senza essere censurati?

Questa è la simpatica provocazione che Leonardo Manzan ha deciso di portare in scena, ponendosi come interrogativo il fatto che il teatro sia o meno ancora un luogo che possa interessare la censura.

La censura è un muro e infatti la scena è completamente invasa da un grande muro che impedisce di scorgere gli attori, dei quali si intravedono solo le braccia tinte di rosso, che escono da piccoli buchi sparsi per la grande parete. Un muro che rappresenta la quarta parete, che il teatro ha inventato alla fine del XIX secolo per separare idealmente il pubblico dalla scena, ma che in queso caso è il mezzo stesso per comunicare con il pubblico ed interagire con esso in modo inconsueto e divertente.

Sulla scena l’autore mette in qualche modo sé stesso, il processo creativo alla base dell’ideazione dello spettacolo stesso e gli interrogativi che si è trovato ad affrontare.

A dare lo spunto iniziale all’autore è il cosiddetto Glory Hole, cioè un buco praticato in una parete o in un qualsiasi divisorio, attraverso il quale è possibile infilare il proprio genitale e compiere atti di origine sessuale o osservare altri impegnati in esse. Il buco rappresenta il caos da cui ha avuto origine il mondo, in quanto etimologicamente significa “essere aperto, spalancato”, quindi una voragine pronta ad accogliere ogni provocazione e ogni stimolo. Il gioco di parole del titolo quindi si basa sulla sostituzione di Hole con Wall, identificando la censura con il muro e i buchi con i tentativi di scalfirlo.

Al termine dello spettacolo l’autore giunge alle sue conclusioni, determinando che il teatro di oggi non è abbastanza provocatorio, non suscita abbastanza scalpore per meritare di essere censurato. La censura si interessa a chi o a cosa scuote il pubblico e la società e il teatro di oggi passa invece inosservato. Gli stessi artisti appartenenti al mondo del teatro e dello spettacolo del resto si trincerano in un mondo autoreferenziale e pretenziosamente intellettuale, sfruttando le opere e il coraggio di artisti che invece conobbero la censura e la contrastarono, pensando così di poter essere al loro livello, pensando così di fare Cultura.

Per l’autore quello che la censura teme di più e al quale cerca di porre un freno è l’immaginazione e se il teatro non riesce più a stimolarla,  allora perde il suo interesse e la sua efficacia.

Non si poteva affrontare il tema della censura, dice l’autore, senza metterlo completamente in discussione, senza offrire una provocazione su cui riflettere.

L’obiettivo è pienamente riuscito e per molti aspetti condivisibile. Il teatro, come anche l’arte, spesso si compiace di sé stesso, cercando la provocazione, ma una provocazione che non attecchisce, che non scuote completamente; una provocazione che non ha in sé stessa l’ambizione di essere censurata.

L’arte vive di costrizione e muore di libertà. Paradossalmente troppa libertà può impedire all’arte di essere veramente efficace, innovativa, dirompente e di creare quel caos, che la censura non aspetta altro che mettere in ordine.