Dal silenzio al suono e dal suono al silenzio. Sembra una banalità, ma non lo è. Passare dal silenzio al suono con eleganza vuol dire avere già il suono da riprodurre in testa prima ancora che le dita lo creino sulla tastiera. Un avvio morbido, raffinato, quasi timido come se la frase musicale avesse timore di rompere il vuoto iniziale. Analogamente il suono che si affievolisce, che si spegne lentamente per tornare al silenzio iniziale richiede un controllo totale della tastiera e del fraseggio.
Ieri sera al Carlo Felice, ospite della Giovine Orchestra Genovese, Maria João Pires ha aperto il programma con un raffinatissimo Schubert e lo ha chiuso con un appassionante e sognante Beethoven in quel citato passaggio dal silenzio al suono e viceversa, come a voler chiudere un cerchio. La perfezione assoluta.
La Pires era attesa, in realtà, già alcuni mesi fa, ma aveva dovuto dare forfait per un incidente, per fortuna lieve. Il recupero del suo recital ha richiamato il pubblico delle grandi occasioni e l’artista ha ripagato la platea con tre esecuzioni di altissimo livello. Meglio, la GOG non avrebbe potuto chiudere.

L’eleganza e la raffinatezza della Pires sono risaltati immediatamente dall’avvio dell’Allegro modesto della Sonata in la maggiore D 664 di Schubert, pagina di splendida fattura, specchio fedele dell’arte conversativa, malinconica e poetica del compositore austriaco. Un approccio morbido, quello della pianista portoghese, con un perfetto controllo delle dinamiche e del fraseggio.
Poi, pur mantenendo la consueta raffinatezza che è una sua propria cifra stilistica, la Pires ha cambiato suono per affrontare il Debussy della Suite bergamasque: clou interpretativo, il terzo movimento, Clair de lunerestituito con una cantabilità e una dolcezza espressiva davvero esemplari.
Infine, la Sonata op. 111 di Beethoven, ideale ponte lanciato verso la prossima stagione GOG che presterà particolare attenzione al compositore di Bonn. L’op. 111 come è noto costituisce il punto di arrivo del sonatismo beethoveniano che lavoro dopo lavoro, in un lungo itinerario, ha rivoluzionato dall’interno la forma consegnando ai tardoromantici (il primo romanticismo saltato a piè pari) un pianismo del tutto nuovo. Basta ascoltare l’Arietta senza farsi fuorviare dal termine. Ci si aspetterebbe una pagina eterea, un soffio. E invece Beethoven precipita interprete e ascoltatori in una delle pagine più profonde, emozionanti, sospese in quei trilli infiniti che danno un senso di aleatorietà spiazzante. Ci vuole un dominio assoluto della tastiera, ma questo può non bastare se non c’è anche un controllo critico della materia musicale, una capacità di andarci dentro ed estrarne l’essenza. La Pires è apparsa straordinaria per vigore, intensità emozionale e concentrazione interpretativa.
Applausi interminabili e il secondo movimento della Patetica come graditissimo bis.
