Povero Don Pasquale, dal Casinò al Casìno…

La storia del teatro è ricca di litigi e di contrasti sorti durante l’allestimento di spettacoli. Librettisti che si ribellavano ai musicisti, più avanti direttori che reagivano alle fantasie dei registi. Nel 1974 fece scalpore la lite feroce che oppose al Festival di Salisburgo il direttore Herbert von Karajan al regista Giorgio Strehler. Si stava mettendo in scena Il flauto magico e lo scenografo Luciano Damiani aveva ideato un velo, leggero e fluente che al termine degli atti scendeva elegantemente. All’atto di toccare terra, però, faceva un impercettibile rumore e questo era intollerabile per Karajan che non voleva alcun disturbo fino all’ultima nota. Si arrivò ai ferri corti. Alla prova generale Karajan lasciò il podio e lanciò la sfida: o lui o Strehler. Strehler se ne andò e il velo rimase immobile, sospeso in alto. Esagerazioni, si dirà. Ma con il suo gesto perentorio Karajan sosteneva il primato della musica su qualsiasi altro effetto spettacolare. Oggi questo primato non solo è violato quasi ad ogni spettacolo, ma nessun direttore posa la bacchetta e pronuncia lo storico diktat di Karajan.

Ieri sera al Carlo Felice per la chiusura della lirica, la presa di posizione di Karajan ci è tornata in mente sin dalle prime note della partitura. Ancora una volta il sipario si è aperto sulla sinfonia per mostrare una sala da giochi del “Casinò Corneto”: una scena inutile ma rumorosa con tanto di grida delle giovani partecipanti ai giochi!

Ecco, forse, in questo caso, il regista andava proprio fermato. Anche perché la lettura di Andrea Bernard (è naturalmente il nostro parere personale) era piena di assurdità inutili.

Una scena dell’opera (foto Marcello Orselli)

 

Per sottolineare l’attaccamento di Don Pasquale al denaro (ma diciamolo, quale marito non lo sarebbe se avesse una moglie spendacciona come Sofonisba?) Bernard lo ha messo alla direzione di un Casinò. E per rimarcare il carattere ribelle e disinibito di Norina, eccola in vetrina in un altro tipo di Casino…

Si può anche ridere di queste invenzioni ma c’è un problema di fondo (e qui torna alla mente Karajan): imbottire il palcoscenico di invenzioni, inserire gag o scenette mentre i protagonisti cantano significa disorientare lo spettatore e relegare la musica a sottofondo.

E’ un pericolo grave e il Teatro dovrebbe porsi questo problema nel momento in cui lavora con tanta dedizione ad attirare i giovani a teatro: educarli all’opera va bene, ma stiamo attenti alla qualità delle proposte.

Sul piano musicale, purtroppo, lo spettacolo non ha entusiasmato.

Sul podio Francesco Ivan Ciampa cerca di tenere insieme voci e orchestra, ha qualche buona intuizione interpretativa, sa far cantare lo strumentale, ma troppo spesso i cantanti vengono seppelliti dall’orchestra e il rischio di squilibri ritmici è sempre dietro l’angolo.

Venendo alle voci, tutti giovani, tutti volenterosi, tutti simpatici. Ma tutti ancora da formare da Omar Cepparolli (Don Pasquale) ad Antonio Mandrillo (Ernesto), da Maria Rita Combattelli (Norina)a Nicola Zambon (Malatesta, quello decisamente più in parte).

Bene il coro. Applausi generosi, ma anche molte perplessità soprattutto fra i melomani più “navigati”.