CanTango: un viaggio tra le “canzoni del tango” della tradizione argentina e genovese

Il sipario non si apre, siamo all’aperto, seduti nella platea del Teatro dei Parchi di Nervi, davanti al palco già illuminato. Il cammino, ieri sera, fino a qui è stato diverso dal solito arrivo trafelato al Teatro Carlo felice. Quei cinque minuti tra i prati e il mare allontanano la mente dalla città, dai rumori e la preparano al mistero a cui si sta per assistere.

Sul palco entrano i musicisti e, davanti ai pochi strumenti schierati (un pianoforte, un contrabbasso, un bandoneon e un violino, strumenti caratteristici dell’orchestra tipica del tango), la voce di Chiara Giudice, l’alma del tango, ci introduce nel mondo delle “Tango Canciones”, un mondo in cui, grazie al connubio di armonia, parola, canto e danza, vengono a materializzarsi storie di nostalgia, amore, passione e sofferenza.

Lo spettacolo è stato pensato come un viaggio tra le più belle “canzoni del tango”, in omaggio al tenore e compositore Tito Schipa e a Carlos Gardel, creatore di numerose e celebri tango canciones, con lo scopo però di ricongiungere la nostra città di Genova con le origini di questo genere.

Con la Melodia de Arrabal inizia il concerto. La musica ricrea subito quelle atmosfere latino-americane che echeggiavano nei bar argentini dei primi decenni del Novecento e la voce del tenore Fabio Armiliato, creatore del progetto insieme al pianista Fabrizio Mocata, ridà vita al primo di una lunga serie di brani di Gardel. Sulle note di pezzi come Mi Buenos Aires querido e Tomo y obligo, il pubblico è accompagnato nella scoperta di questo genere dalle spiegazioni dell’alma de tango che chiariscono di volta in volta quel che le parole delle canzoni narrano. Così si ascolta il sermone di un amante ferito che cerca di persuadere l’amata del fatto che il suo nuovo compagno non sia un “gaucho”, vale a dire un uomo d’onore, ma piuttosto un “ladron” e, anche grazie alle immagini che si sostituiscono ai classici fondali del teatro, ci si ritrova in uno di quei bar di Buenos Aires in cui si amoreggia, si raccontano le proprie disavventure d’amore ma soprattutto si balla. La presenza sul palco di una coppia di ballerini di tango, Los Guardiola, completa in maniera perfettamente equilibrata lo spettacolo che ci ha trasportati in un mondo così lontano dal nostro.

Ma è proprio qui che ci sbagliamo: Genova e il tango, infatti, non sono poi così lontani. Negli anni ’30 sono numerosi i genovesi che attraversano l’oceano per trasferirsi in America Latina, talmente tanti che, a Buenos Aires, in uno dei quartieri più famosi e visitati, La Boca, l’impronta della cultura italiana, e in particolare ligure, è tutt’ora fortissima. Ed è grazie a questi incontri, grazie a queste contaminazioni culturali, che si aggiungono alle Tango Canciones dei brani con il testo in dialetto genovese. Ascoltiamo quindi Cansun de Cheullia, in cui ritroviamo, grazie anche ai riuscitissimi riarrangiamenti di Mocata, le classiche armonie e ritmi del tango, Viva o pesto e, ultima ma non ultima, Ma se ghe penso, di cui ben si coglie il più intrinseco significato di nostalgia di una patria lontana ma anche di quei versi, pronunciati da un vecchio padre emigrato:

 

Oh no! Mi me sento ancon in gamba / Son stûffo e no ne pòsso pròppio ciû
Son stanco de sentî: señor, caramba / Mi vêuggio ritornâmene un po’ in zû
Ti t’é nasciûo e t’hæ parlòu spagnòllo / Mi son nasciûo zeneise e no ghe mòllo!”

Oltre a risvegliare un genuino patriottismo nei confronti della nostra città, questo spettacolo fa riflettere anche su quanto l’incontro tra culture diverse possa essere il punto di inizio di qualcosa di inedito ed estremamente affascinante nonché una fertile svolta per entrambe le tradizioni. Per questo, in un periodo in cui la parola “contaminazione” è legata alla paura per il virus e in cui l’accento è troppo spesso posto sulla diversità e sulla chiusura invece che sull’apertura e sulla conoscenza reciproca, trovo che l’assistere ad un risultato musicale e artistico di una “contaminazione culturale” di questa portata possa avere un grande valore.

Con una sezione di brani contenuti in diverse produzioni cinematografiche, come Lejana tierra mia o Per una Cabeza, contenuta in Scent of a Woman con Al Pacino, e con qualche inedito e bis, si conclude il

concerto, chiaramente figlio della esuberanza eclettica caratteristica di un artista come Fabio Armiliato.