Sotto il cielo di Venere, identità di un mito e di una donna: Simonetta Cattaneo Vespucci

Nell’ambito del Festival dell’Eccellenza Femminile, va in scena, venerdì sera, alle 21 (con repliche sabato ore 21 e domenica ore 16), Sotto il cielo di Venere, testo di Silvana Zanovello, regia di Consuelo Barilari. Si tratta di una rappresentazione durante la quale si alternano monologhi dal vivo e videoarte. Personaggio centrale, Simonetta Vespucci, nata Cattaneo, nata nel 1453, morta nel 1476, gentildonna italiana, tra le più note del Rinascimento, ritenuta la musa ispiratrice di Botticelli.

In scena Viola Graziosi,  mentre a dare sostanza allo sguardo maschile su Simonetta sarà Graziano Piazza che nello stesso tempo in  video  darà voce a Lorenzo il Magnifico .

«Simonetta Cattaneo Vespucci, l’icona del Rinascimento, protagonista di cento discussioni e polemiche,  cerca se stessa attraversando i fantasmi delle donne che l’hanno conosciuta – spiega l’autrice Silvana Zanovello – Pugnali e  veleni nascosti tra i gigli e le rose di immagini famose accompagnano il cammino di una sedicenne verso una fama mondiale inossidabile. Il mito nasce sulle onde di un mare di cristallo (di Fezzano vicino a Portovenere, esilio dorato dei Cattaneo della Volta) e nelle acque  del porto di Genova dove il profumo delle spezie si confonde  con l’odore del sangue. La ragazza che letterati e critici identificano con la Venere di Botticelli,  e della quale Botticelli ha dipinto l’unico ritratto in vita, lo stendardo regalato a Giuliano de Medici per la giostra del 1475, ha avuto di recente perfino una nuova variegata vita pop e una testimonial come Chiara Ferragni. Sembra, in tanti racconti che il fascino della  “senza pari” cantata da tanti poeti, da Poliziano, a Carducci e D’Annunzio, amata da Giuliano de Medici e destinata, con la sua morte misteriosa a poco più di vent’anni, a incarnare il mito dell’eterna giovinezza nasca dal nulla».

Quando la giovane Simonetta si spense a Firenze, Lorenzo il Magnifico le dedicò quattro sonetti e annotò: «…da casa al luogo della sepoltura fu portata scoperta, a tutti che concorrono per vederla mosse gran copia di lacrime. De’ quali, in quegli che prima n’avevano alcuna notizia, oltre alla compassione nacque ammirazione che lei nella morte avesse superato quella bellezza che, viva, pareva insuperabile. In quelli che prima non la conoscevano nasceva uno dolore e quasi rimordimento di non avere conosciuto sì bella cosa che ne fussino al tutto privati, e allora conosciutola per averne perpetuo dolore. Veramente in lei si verificava quello che dice il nostro Petrarca: ‘Morte bella parea sul tuo bel viso’.»