E così Mario Brunello ha chiuso il cerchio magico dei dodici titoli che Bach dedicò agli strumenti ad arco non accompagnati. Lo ha fatto nella sua particolare e unificante visione, interpretando le sei Suites per violoncello sullo strumento di originaria destinazione, trasferendo invece i “Sei Solo à Violino senza Basso accompagnato” su un secondo violoncello accordato una quinta sopra quello normale. Questi lavori risalgono al periodo di Köthen, uno dei più fecondi per la produzione strumentale di Bach, e il loro ascolto, nell’arco di un ciclo di tre concerti, ha posto in evidenza le linee di pensiero, palesi o sotterranee, che li accomunano in un’unica, grande arcata creativa. Il pubblico, attento e numeroso, ha così potuto cogliere gli aspetti più significativi di questi capolavori, dove trascendenza e immanenza trovano espressione nell’assoluto equilibrio tra perfezione formale e pregnanza dei contenuti.
Il concerto, che si è tenuto ieri sera al Teatro Carlo Felice di Genova per la stagione della GOG, ha preso avvio – diversamente da quanto annunciato sul programma di sala – con la Partita in si minore per violino solo: qui l’idiomaticità del discorso violinistico, come pure nell’ardua Sonata in Do maggiore che ha aperto la seconda parte, non risente dell’abbassamento di ottava e, almeno nei brani di maggiore difficoltà, dell’inevitabile scarto metronomico che ne consegue. Ne scaturisce, invece, una rilettura più analitica e meditata, che l’intelligenza interpretativa di Brunello fa apparire necessaria ma non faticosa. Cito a esempio, in ambito prettamente monodico, il Double della Courante BWV 1002, esposto con disinvolta scorrevolezza, ma anche il Presto liberatorio che chiude la Sonata BWV 1005; in quanto ai momenti polifonicamente più intricati, è ineludibile il riferimento all’impervia Fuga di questa stessa Sonata, le cui 354 battute – trasferite sulle corde del violoncello – lasciano intendere quelle trame contrappuntistiche che un andamento meno pacato porrebbe in secondo piano. La maestria di Brunello rifulge qui in tutta evidenza, grazie a un arco duttile e sensibile che concretizza il difficile compito della mano sinistra, alle prese con estensioni destinate alla più agevole tastiera del violino.
Torniamo ai brani di destinazione violoncellistica per dire che la Suite BWV 1008 (che avrebbe dovuto aprire la serata ma è stata spostata in chiusura della prima parte) alterna momenti di tranquilla discorsività espositiva con altri dal carattere più spigliato, demandando alla pensosa Sarabanda i tempi e i modi per una necessaria pausa di raccoglimento nel cuore di un brano pur sempre permeato dallo spirito della danza. Una partenza tranquilla e riflessiva, quella di Brunello, quasi a voler “scaldare i motori” in attesa del sesto grado superiore dell’ultima Suite (senza dimenticare le enormi difficoltà della Sonata violinistica cui si è accennato sopra).
La Suite BWV 1012, opera di ampio respiro irta di ogni tipo di difficoltà, fu destinata dall’autore a un violoncello di minori dimensioni, dotato di una quinta corda per ampliarne il registro acuto. Molti preferiscono tuttavia eseguirla sul normale strumento a quattro corde, a prezzo di un impegno virtuosistico davvero fuori dal comune, ed è questa la soluzione scelta da Mario Brunello. Non mancano momenti di effusione lirica in cui riecheggia il suono antico della viola da gamba, insieme ad altri di momentanea evasione, quali la Corrente e le due Gavotte, ma il Preludio e la Giga esigono – sullo strumento tetracorde – un dominio tecnico assoluto. Ed è qui che l’artista veneto si mette alle spalle l’intensa spiritualità dell’Allemanda e la gravità accordale della Sarabanda per lanciarsi – senza rete – in un gioco spettacolare che mette alla prova tutte le risorse tecniche dell’interprete: frequente impiego del capotasto, escursioni vertiginose ai limiti della tastiera, colpi d’arco impensabili per l’epoca in cui le sei Suites furono concepite. Mario Brunello ne esce con tutti gli onori, e con lui la musica di Bach; successo caloroso e due bis, l’Allemanda dalla seconda Sonata e il Preludio dalla prima Suite (par condicio assoluta, fino all’ultimo, tra i due strumenti) per un concerto da non dimenticare.