Un’opera che inizia alle 20 per chiudere a mezzanotte in genere porta la firma di Richard Wagner. Invece, ieri sera, è successo al Carlo Felice per Anna Bolena di Donizetti.
Per fortuna si è trattato di uno spettacolo musicalmente ineccepibile, la prolissità è stata sopportata con piacere.
Anna Bolena mancava dalle scene genovesi dal 1869 quando fu rappresentata per l’ultima volta al teatro Doria, successivamente trasformato nel glorioso Politeama Margherita.
In genere quando un’opera rimane a lungo in un polveroso scaffale significa che il suo valore non è particolarmente elevato.
Il caso di Anna Bolena è però diverso.
Nel 1830 quando apparve al Teatro Carcano di Milano fu salutata come la prima opera davvero importante di Donizetti: inaugurava la galleria delle grandi regine e soprattutto avviava un geniale lavoro drammaturgico affrontando vicenda che mescolavano ragion di stato e passioni amorose in un contesto narrativo che si riverberava in strutture musicali sempre più compatte e omogenee.
Caratteri che il pubblico di ieri sera ha potuto verificare ammirando ad esempio la bellezza di certi concertati e il fascino del grande duetto fra le due donne.
Perché allora Anna Bolena si vede così raramente?
Essenzialmente, crediamo, per due ragioni.
La prima sta nella complessità delle parti vocali: non solo quella di Anna che è davvero irta di difficoltà, ma anche quelle degli altri protagonisti. Per mettere in scena quest’opera, insomma, ci vuole un cast di prim’ordine e ben amalgamato per risolvere i ricchi e affascinanti pezzi d’insieme. La seconda l’abbiamo già rilevata, la prolissità. Quando nel 1957 Gianandrea Gavazzeni riprese l’opera alla Scala (regia di Visconti, interpreti la Callas e la Simionato) ebbe il coraggio di sfrondare, di alleggerire: operazione (oggi aborrita dai puristi) che ha consentito al lavoro donizettiano di riapparire e di fruire di una splendida incisione discografica.
Crediamo che anche oggi un intervento non radicale ma operato con intelligenza, tagliando qualcosa da una parte e dall’altra gioverebbe all’economia generale dell’opera.
L’allestimento presentato era una coproduzione fra Genova e il Regio di Parma.
Regia e scenografia
Discutibile l’aspetto visivo.
Alfonso Antoniozzi ha creato un’ambientazione senza tempo: solo Anna Bolena veste un abito della sua epoca, gli altri personaggi non sono temporalmente collocabili: una scelta che intende trascendere il periodo storico preciso per fare della tragedia di Anna un dramma universale. Scelta ragionevole ma non condivisibile a nostro parere proprio perché l’opera di Donizetti propone personaggi chiaramente identificabili come reali protagonisti di una vicenda storica. Trattandosi poi di un’opera raramente eseguita, avremmo preferito vederla con l’apparato visivo corretto. La scena di Monica Manganelli, del resto, in coerenza con le scelte del regista, appare minimalista e poco connotata se non fosse per alcuni brutti tavolini da bar che stonano non poco con l’idea di una reggia inglese.
Infine, non si comprende perché tanti registi si ostinano nel creare un’azione (oltretutto in un’opera che di azione è poverissima e punta tutto sugli aspetti psicologici) nella sinfonia d’apertura: in genere la si ascolta a sipario chiuso, qui il sipario si è invece abbassato sull’accordo finale.
Splendida la lettura musicale
Venendo alla parte musicale, invece, è stato davvero un bello spettacolo
Innanzitutto grazie al giovane direttore Sesto Quatrini. Nella conferenza stampa di qualche giorno fa, Quatrini si era dichiarato un grande amante del belcanto italiano. Lo ha dimostrato ampiamente. Una lettura la sua elegante, efficace nel sostenere.le voci, abile nel curare frasi e dinamiche in orchestra in un corretto equilibrio fra palcoscenico e buca.
Bene l’orchestra e il coro quest’ultimo diretto da Francesco Aliberti.
Ottimo il cast. Grande successo personale per Angela Meade, una splendida Bolena per temperamento, vocalità, sicurezza nel fraseggio, intonazione. L’ultimo atto è stato magnifico, ma anche la drammatica scena del duetto femminile è stata risolta con autorevolezza e abilità dalla Meade e da Sonia Ganassi, ineccepibile per vocalità e presenza nel ruolo di Giovanna.
Lodevole pure John Osborn nel ruolo di Riccardo, arrivato in fondo un po’ provato, ma capace di sfumature notevoli in tutto l’arco dell’opera, una vocalità generosa e sfruttata con intelligenza. Nicola Ulivieri ha dato voce e fisicità al personaggio di Enrico VIII, mentre Marina Comparato ha vestito con efficacia i panni di Smeton.