“Nemo propheta in patria”, recita un antico detto latino. E’ difficile per una persona di valore nei più disparati campi essere riconosciuta tale nella propria città. In genere si deve partire, andare a cercare la gloria altrove e poi tornare. E anche così non sempre si ottiene la giusta considerazione. Ci sono, per fortuna, delle eccezioni. Fra queste (oltre all’amatissimo Fabio Luisi) in campo musicale si può citare Francesco Meli.
Il grande tenore ieri in una bella festa al Carlo Felice ha ricevuto dalle mani del presidente della Regione Giovanni Toti l’onorificenza della “Croce di San Giorgio”, ambito riconoscimento destinato a cittadini italiani o stranieri che si siano distinti per particolari meriti di valore culturale, sociale o morale.
Un premio importante (al quale, secondo quanto annunciato dal sindaco Marco Bucci ieri, si aggiungerà in aprile il titolo di ambasciatore di Genova nel mondo) , a testimonianza dell’ammirazione di Genova per un artista che nonostante i successi internazionali ha mantenuto saldo il legame con la sua città e, lungi dall’atteggiarsi a “divo”, è rimasto sul piano umano quello che era quando ha mosso i primi passi nel mondo della lirica.
“Il successo – ci aveva detto alcuni anni fa nel corso di una intervista – naturalmente gratifica, ti dà soddisfazioni, ma la vita non cambia. E bisogna sempre stare con i piedi per terra. Quando ero in Conservatorio ed ero considerato un allievo molto promettente il rischio di montarsi la testa c’era e si era anche sottoposti a pressioni particolari. Poi esci dalla scuola e ti metti in fila dietro a tanti altri. Bisogna sapere crescere con gradualità. Quello che la carriera cambia certamente è il modo di vivere nei rapporti con gli amici, con la famiglia”.
Personalmente ho conosciuto Meli in Conservatorio quando da allievo della classe di canto della collega Palacios frequentava il mio corso di storia della musica. Che avesse una marcia (o due!) in più rispetto agli altri era evidente, tanto che ben presto bruciò le tappe esordendo nel 2002, al Festival di Spoleto: lì conobbe Vittorio Terranova che divenne il suo insegnante e lì sarebbe partita una carriera che lo avrebbe portato a soli 23 anni alla Scala in Les Dialogues des Carmelites diretto da Riccardo Muti. Debuttare alla Scala così giovane è un bel traguardo. Ma tornare alla Scala con la frequenza che è capitata a Meli è il segno di un legame stretto e di un riconoscimento indiscutibile delle sue qualità: basta ricordare che nel 2022 ha festeggiato diciotto annidi collaborazione con il Teatro scaligero e anche il ventesimo ruolo cantato su quel palcoscenico (Otello, Idomeneo, Don Giovanni, Maria Stuarda, Der Rosenkavalier, Carmen, Giovanna d’Arco, I due Foscari, Don Carlo, La traviata, Ernani,Tosca, Il Trovatore, Aida, L’elisir d’amore, Macbeth, Un ballo in maschera).
Nel 2001 (anno verdiano), il Conservatorio Paganini realizzò un concerto (se non erro, registrato poi su CD) per Verdi contenente anche l’Inno delle Nazioni che vide Meli impegnato come solista: ben altre incisioni sono seguite con Verdi e altri autori.
Il riconoscimento della Regione premia dunque un tenore che ha una delle voci più belle del nostro tempo, sorretta da una tecnica solida che gli consente un totale dominio dell’emissione. Ma premia anche la persona. Nel 2020, come si ricorderà, Meli ha fondato con il Carlo Felice e dirige tuttora, con l’ausilio prezioso della moglie, il soprano Serena Gamberoni, l’Accademia lirica per giovani cantanti. E’ un impegno importante perché si tratta di corsi dilatati nel tempo e cadenzati da intense lezioni giornaliere: il tutto finalizzato alla realizzazione di un’opera a fine stagione (quest’anno toccherà, in giugno, al Barbiere di Siviglia).
E nel corso della premiazione di ieri, la conduttrice della cerimonia, la brillante giornalista Silvia Isola, ha ricordato il concerto organizzato da Meli e dalla moglie, il soprano Serena Gamberoni, in Cattedrale nel giorno di Pasqua in pieno covid: la Chiesa deserta, le voci trasmesse per televisione in un messaggio di forte tensione e speranza. Un bel segnale lanciato ai suoi concittadini che sono ormai fra i suoi fans più affezionati: “Il Carlo Felice – ha detto ieri Meli – è il teatro in cui sono cresciuto: qui ho iniziato ad ascoltare le opere come spettatore e mi sono appassionato alla lirica. E qui torno sempre con piacere perché so di trovarmi in un ambiente di amici”.