L’universo poetico di Alda

Un palcoscenico pieno di sabbia, i piedi nudi dei danzatori e della stessa Alda che affondano, che non vogliono staccarsi dal contatto fisico con la terra. “Ho la sensazione di durare troppo, di non riuscire a spegnermi: come tutti i vecchi le mie radici stentano a mollare la terra. Ma del resto dico spesso a tutti che quella croce senza giustizia che è stato il mio manicomio non ha fatto che rivelarmi la grande potenza della vita”.

Alda è Alda Merini della quale erii sera si è rivissuta la   profonda, controversa esperienza di vita e di arte (ma la vita e l’arte in lei erano tutt’uno) attraverso le sue parole dette magnificamente da Milvia Marigliano nello spettacolo “Alda. Diario di una diversa”, drammaturgia e regia di Giorgio Gallione, in scena al Duse nell’ambito della stagione del Teatro Nazionale.

Il lavoro risale a qualche anno fa, il Teatro lo ha ora ripreso per portarlo in tournée nei prossimi giorni.

Un momento dello spettacolo

 

Una bella occasione per rivederlo e rivivere le forti esperienze di una donna straordinaria che ha trovato nella poesia il mezzo per “risorgere”, per scoprire quanto bella può essere, nonostante tutto, la vita. Se la sabbia che cosparge il palcoscenico rappresenta la terra e le radici, il pianoforte rovesciato (la scenografia è di Marcello Chiarenza) rimanda all’amore della protagonista per la musica al sogno infranto di studiare il pianoforte, agli scontri con la madre che, autoritaria e violenta le ha tarpato le ali quando era troppo giovane costringendola a disperati gesti di ribellione.  La pazzia, il manicomio, la liberazione, la poesia come rifugio, ma anche il dolore per la lontananza delle quattro figlie a lei strappate e affidate ad altre famiglie: nel racconto, condotto con intelligenza da Gallione, si rincorrono immagini violente, disperate, ma anche una ironia dissacrante, segnale di una mente capace di confrontarsi lucidamente con la realtà.

Che cosa è poi la follia? Una invenzione dei cosiddetti normali. E la normalità – dice la Merini –  è l’invenzione di chi è privo di fantasia. Il lungo e appassionante monologo è accompagnato da cinque danzatori (Luca Alberti, Angelo Babuin, Eleonora Chiocchini, Noemi Valente e Francesca Zaccaria) duttili ed eleganti esecutori della coreografia di Giovanni Di Cicco che visualizza stati d’animo, personaggi, immagini della mente della Merini. Le scelte musicali risultano felici nel cogliere le diverse ambientazioni mentali, dal “Valzer triste” di Sibelius a “Pregherò” di Celentano a “Il canto degli uccelli” del francese Jannequin. E poi Milvia Marigliano è assolutamente straordionaria nel vestire i panni di Alda.

Applausi più che meritati.