Applausi calorosi, ieri sera al Carlo Felice per Giacomo Manzoni, festeggiato dalla GOG e dal Teatro genovese per il suo novantesimo compleanno con due belle esecuzioni di suoi brani affidate al direttore Riccardo Minasi.
Compositore, didatta, traduttore, musicologo, Manzoni ha attraversato tutto il secondo Novecento imponendosi come uno dei principali protagonisti della storia della musica non solo italiana.
“La situazione della musica- dice durante un incontro prima del concerto – è alquanto disastrosa, ma non è una novità. Abbiamo respirato un’atmosfera di vitalità solo negli anni Settanta e Ottanta quando pareva che potesse cambiare qualcosa.
-A distanza di una ventina d’anni dalla fine del Novecento, si può cominciare a guardare al secolo scorso in una prospettiva critica. Del secondo Cinquantennio, dunque, cosa segnalerebbe?
“Certamente Darmstadt ha costituito un momento fondamentale nella storia della musica. E i compositori di quei primi decenni sono importantissimi, penso a Stockhausen, Boulez, Nono, Maderna. Oggi quel tipo di scrittura non è più seguita e del resto da un po’ di tempo ho perso i contatti con le nuove generazioni, seguo poco quel che accade oggi”.
-Lei ha insegnato per molti anni nei Conservatori italiani. Com’è la situazione oggi dell’insegnamento musicale?
“In realtà le mie esperienze risalgono ormai a molti anni fa. Da tempo non ho più contatti. So che rispetto al passato c’è una intensa attività artistica il che può essere anche un bene. E so anche che i Conservatori si stanno riempiendo di studenti che seguono i corsi di musica leggera o di jazz. E su questo ho naturalmente molte riserve”.
-Lei è stato allievo di Gino Contilli, illustre compositore e per anni direttore del Conservatorio di Genova. Che ricordo ha del Maestro?
“Debbo a lui la mia passione per la musica. L’incontro con la sua personalità e la sua cultura è stato determinante perché mi ha spalancato un mondo che non conoscevo. E poi era di straordinaria cultura, si parlava di musica, ma anche di arti visive, di psicoanalisi”.
-In una intervista di qualche anno fa espresso la sua antipatia nei confronti del teatro di Puccini. E’ sempre della stessa idea?
“Assolutamente sì. Per carità è stato un grande orchestratore ma il suo gusto fonico, il suo teatro non mi interessa per nulla. E’ grave?”.
– Assolutamente no. Ma cosa La interessa del teatro italiano del passato?
“Naturalmente Verdi, grandissimo e poi Malipiero, ma anche Il prigioniero di Dallapiccola”.
-Negli anni Sessanta e Settanta ha prodotto alcuni testi teatrali di forte impegno politico, da La sentenza a Atomtod a Per Massimiliano Roberspierre. C’è ancora spazio per il teatro oggi oppure si dovrebbero cercare altre strade?
“Poi feci anche Doctor Faustus ispirandomi al romanzo di Thomas Mann che amavo molto. Qualche critico ci vide pure un qualcosa di impegnato che non avevo creduto di metterci. C’è ancora spazio per il teatro? Credo di sì, ho un progetto in cantiere e vedremo se lo si potrà portare avanti. Ci sarebbe bisogno di un teatro nuovo? Certamente sì, ma nessuno di noi è Wagner e dobbiamo accontentarci di quel che c’è…”
Nella foto in homepage di Silvia Aresca, il M° Manzoni si complimenta con direttore e orchestra dopo l’esecuzione dei suoi brani