Francesca Benitez, aspettando Valencienne

“Sono giorni che non trovo le parole, ho solo tanta tristezza e tanta voglia di palcoscenico. Speriamo che la pazienza nell’attendere un periodo migliore sia presto ripagata”.

Parole di Francesca Benitez. La giovane cantante di Chiavari fa parte del cast della Vedova allegra l’operetta di Lehar che era prevista per il 27 novembre al Carlo Felice ma che a seguito della chiusura sancita dall’ultimo DPCM è slittata a data da destinarsi.

Alla Benitez, applaudita recentemente al Carlo Felice nei panni di Musetta in Bohéme è stato affidato il ruolo brillante di Valencienne.

“Valencienne – dice – è un personaggio interessante e complesso. Il regista Micheletto l’ha definita una gatta scappata. Una donna un po’ scostante, a tratti isterica. Il suo amore per Camille, secondo me, è uno di quei sentimenti che nascono all’improvviso e altrettanto rapidamente muoiono”.

-Si sente più tragica o più comica?

“Senza dubbio più comica. Da bambina in famiglia mi dicevano che avrei dovuto fare l’attrice comica. Certo, ho avuto il mio periodo “alla Lucia di Lammermoor” in cui pensavo a ruoli drammatici, ma ora con maggiore consapevolezza penso a parti più divertenti. Questo non significa che non desideri affrontare personaggi tragici: quando avrò la possibilità mi piacerà cantare la Regina della Notte mozartiana e poi le grandi regine donizettiane. Ma non anticipiamo troppo”.

-L’operetta è uno spettacolo piuttosto complesso perché richiede anche una recitazione con prestazioni attoriali. L’ha già affrontata? Cosa ne pensa?

“Tempo fa ho cantato Offenbach al Maggio Musicale Fiorentino e recitare in francese non è stato facile, ma molto formativo. La recitazione per i cantanti è un incubo. Ti costringe a scoprire una parte di te stessa che magari non conosci. In un teatro grande come il Carlo Felice devi far arrivare la voce più lontana possibile non con l’impostazione lirica; se imposti da cantante non sei più credibile, ma nello stesso tempo devi farti capire. E’ quel che succede anche nel Singspiel, ad esempio: pensiamo al lungo recitativo che la Regina della Notte deve risolvere prima della celebre aria. E poi ci sono i silenzi, le pause. Un discorso insomma da costruire con attenzione. Bello e impegnativo”.

Francesca Benitez in Bohème

-Come è diventata cantante?

“In realtà canto sin da quando ero una ragazzina, ho partecipato anche alle selezioni dello “Zecchino d’oro” e ho fatto parte di una rockband. La lirica non rientrava nei gusti di famiglia, avevo però una parente pianista che mi fece ascoltare da una insegnante di canto e questa a poco a poco mi ha convinto a provare la lirica. E’ stato un innamoramento lento e graduale, ma alla fine definitivo: basta pensare che alla mia prima opera da spettatrice, era “Madama Butterfly”, mi addormentai!”.

Entrata in Conservatorio al “Paganini”, la Benitez si è diplomata nella classe di Maria Trabucco con il massimo dei voti e si è poi perfezionata con Desirée Rancatore: “Nel 2017 ho iniziato a cantare con “Europa incanto”, allestimenti per bambini. Quell’anno debuttai addirittura al San Carlo alle 9 del mattino interpretando la Regina della notte in un “Flauto magico” per le scuole”.

Poi, nel 2018 la vittoria al Concorso As.Li.Co e la svolta: “Subito dopo quella vittoria mi chiamò il Carlo Felice per propormi la “Rondine”. Poi è arrivato “Gianni Schicchi” il Concerto di Pasqua e una tournée in Oman con “Lakmé”.

-Che sacrifici comporta la carriera della cantante?

“Se si è convinti di quel che si fa non si può parlare di sacrifici, anche se la carriera è impegnativa sia fisicamente che psicologicamente. E’ sempre un mettersi in gioco, che tu vada in scena o non ci vada. Ci vuole una buona dose di fortuna e anche un carattere adatto. Io ad esempio non amo la mondanità, non cerco di mettermi in mostra e questo non aiuta”

-Quanto conta la famiglia?

“Ci sono due famiglie, quella alle spalle e quella del presente e del futuro. Quella alle spalle è fondamentale. Se non hai un aiuto non ce la puoi fare né sul piano psicologico né sotto il profilo economico. Perché è inutile nasconderselo, studiare canto costa. Quando, finito il Conservatorio, ho deciso di perfezionarmi con Desirée Rancatore mi sono trasferita un anno e mezzo a Palermo. Come avrei potuto fare se non avessi avuto i miei genitori in appoggio? E poi c’è la famiglia del presente. Devi trovare una persona in grado di capire le tue esigenze: non esistono ferie, non si possono programmare vacanze perché magari sei fuori e ti chiamano in emergenza e tu devi correre perché non puoi permetterti di rifiutare un ingaggio. Non è facile trovare una persona disponibile a condividere certi sacrifici. E poi, quando la trovi e arrivano i figli, ecco che torna fondamentale la famiglia di prima!”

-Un aneddoto curioso?

“Mi viene in mente un curioso incidente in un a prova di “Così fan tutte”. Interpretavo il ruolo di Despina. Nel primo atto quando Despina è travestita da medico con una calamita in mano dovevo attaccare “Non vi affannate, non vi turbate, ecco una prova di mia virtù”. Ma ebbi un vuoto di memoria e non ricordavo più se la frase era “Ecco una prova” o “Questa una prova”. Alla fine mi uscì “Quecco una prova”. Davanti a me c’era il collega Andrea Concetti che dava le spalle alla platea. Ne approfittò per farmi il verso, tanto lui non cantava. Insomma si misero a ridere tutti mentre io cercavo di portare a termine indenne la mia parte”