Nuova stagione GOG, il concerto targato Doric String Quartet tra spaesamento e perfezione

Banditi ormai anche i proverbiali colpi di tosse tra un pezzo e l’altro il pubblico della GOG apprezza il raffinato cartellone ed è sempre più assorto in sala, anche in questo ottobre irto di difficoltà che vede profilarsi di nuovo lo spettro dei 200 posti in sala e delle limitazioni per prevenire e contingentare il Covid-19 con il nuovo dcpm alle porte. Ad ogni modo il Teatro Carlo Felice è sicuro e lo garantisce la Biosafety Trust Certification di RINA già in tempi pionieristici rispetto al panorama internazionale.

Protocollo applicato alla lettera nella serata del 5 ottobre e un rigore che sembra continuare, ma questa volta a livello musicale, proprio con i protagonisti del secondo concerto della Stagione Autunnale 2020 della GOG, con il Doric String Quartet (Alex Redington, Ying Xue violino, Hélène Clément viola, John Myerscough violoncello) descritto da Gramophone come “uno dei migliori giovani quartetti d’archi”.  Selezionato da YCAT nel 2006, il Quartetto ha vinto diversi premi tra cui 1° al Music Competition di Osaka 2008, 2° premio al “Borciani” e il Premio “Ensemble” al Festspiele Mecklenburg – Vorpommern in Germania.

Da Mendelsshon-Bartholdy a Britten (con un’inversione dell’ordine proposto nel programma di sala) sono state diverse le sfide vinte dai musicisti a partire dalla potenza del suono e dalla sintonia assoluta delle parti del Quartetto in mi minore op. 44 n. 2 (1837) che hanno raggiunto l’apice nell’Allegro assai appassionato e nel delicato Andante. Presenza scenica trascinante, che non maschera le emozioni ed enfatizza i movimenti, proprio come eravamo abituati a vederli, oltre che a sentirli.

Di  Felix Mendelsshon-Bartholdy (Amburgo, 1809 – Lipsia, 1847), compositore prolifico e concertista eccezionale, si assapora così il culto per la perfezione, per la visione trasparente del mondo e dell’ordinamento armonico, quella perfetta geometria delle frasi, i valori “classici” che lo hanno reso così amato soprattutto in Europea e nel Grande Nord, il senso della trascendenza e della grandezza.

Brevissimo intervallo e poi spazio a Britten (Lowestoft, 1913 – Aldeburgh, 1976), riconosciuto all’unanimità dalla critica tra i maggiori autori inglesi del secolo riuscendo a far proprie e facendo rifiorire in modo diverso molte idee musicali già di Hindemith, di Purcell o di Bartok. La sua produzione musicale, per omaggiarne le opere autografe in campo teatrale, ha allo stesso modo un grande magnetismo, è eclettica, ispirata. Il Quartetto per archi in si bemolle maggiore op. 94 (1975) è un capolavoro di tensione compositiva di forze attraenti e respingenti. Sempre difficile rendere Britten, incredibile la palette colori utilizzata e lo sfumato sottilissimo così come l’atmosfera che sono riusciti a rievocare i musicisti nell’Ostinato: Very fast e ne La Serenissima: Recitative and Passacaglia, chiaro omaggio al luogo dove la composizione è stata portata a termine e richiamando l’opera celebra di Britten Death in Venice, tra straniante bellezza e simboli disadorni che passa dall’etereo al plumbeo, alla fatica dolorosa della comprensione, la stessa di un’anima irrisolta o sul ciglio della propria vita.

Applausi copiosi, svariati “bravi”, ma il bis sembra non essere di moda.