Il mare, lungo sguardo verso l’altro, l’ignoto, speranza di guadagno, di traffici, di conquiste, ma anche fonte di pericolo e fucina di leggende. Sarà per questo che affascina e continua ad ammaliare, oltre a spiegare la storia e i personaggi incoronati dagli eventi, dalla perizia tecnica ed anche dalla fortuna. Un libro, uscito a fine marzo, ne parla riuscendo a coinvolgere il lettore sin dai primi capitoli.
Si intitola “Medioevo marinaro. Prendere il mare nell’Italia medievale” per Il Mulino (304 p., Brossura 20,90. euro) della firma Antonio Musarra. L’autore con la proprietà e la sagacia a cui ci ha abituato riporta in luce ogni aspetto di quel Medioevo marinaro dalla rete diffusa dei porti e degli attracchi alla formazione degli equipaggi in pace e in guerra fino alle imprese della pirateria.
“I ritmi della vita di bordo -spiega Musarra- erano dettati dalle concrete necessità della navigazione. Certo, non si trattava d’una vita facile. Non bisogna credere, a ogni modo, che le condizioni del viaggio fossero improbe. Sia sulle navi che sulle galee, il vitto era solitamente abbondante, benché esistessero differenziazioni tra gli ufficiali e il resto dell’equipaggio, così come tra gli eventuali mercanti presenti a bordo e i comuni passeggeri. Ma, del resto, era possibile scendere a terra frequentemente, vista la predilezione per il cabotaggio. Ciò che si nota è una crescente diversificazione di trattamento a seconda del ceto d’appartenenza, capace d’accomunare navi e galee, legata strettamente alla progressiva differenziazione sociale interna al mondo marittimo di cui s’è detto. Se nell’XI secolo, la distanza tra gli ufficiali e i marinai è percepibile solamente nei ruoli o nella spartizione della preda – meno, nella condivisione del pasto comune e negli alloggiamenti –fra XIII e XIV secolo, la disparità si fa più evidente”.
Affascinante l’excursus sulle navi che così affresca Musarra in una breve anticipazione: “Nell’arco del millennio medievale, e, in particolar modo, dopo il Mille, col termine navis s’era soliti indicare un particolare tipo d’unità navale utilizzata espressamente per il commercio o per il trasporto di persone e animali. Per indicare genericamente un natante, si faceva uso del termine lignum, in riferimento alla principale materia prima con cui era costruito. Ligna, dunque, erano le naves commerciali: bastimenti a scafo tondo, capienti, dalle linee costruttive tondeggianti; e ligna erano anche tutte quelle unità a scafo sottile, adatte agli spostamenti veloci, utilizzate in prevalenza nelle operazioni belliche, tra cui si segnala, in particolar modo, la galea. Tuttavia, numerosi erano i tipi intermedi: la barca, il palischermo, la gondola – tirrenica o lagunare, corrispondenti a modelli differenti –, il gatto, il lembo, il leudo, lo schiffo, la vacchetta, destinati al piccolo commercio, alla pesca o al trasporto veloce di uomini e armati lungo la costa”.
Per concludere con una panoramica della conflittualità mediterranea, e un approfondimento sulle navigazioni esplorative compiute nell’Atlantico, regalando tutto il sapore di un’epoca lontana.
Antonio Musarra insegna Storia medievale alla Sapienza Università di Roma. Con il Mulino ha pubblicato «Genova e il mare nel Medioevo» (2015), «Acri 1291. La caduta degli stati crociati» (2017), «Il crepuscolo della crociata» (2018) e, con Franco Cardini, «Il grande racconto delle crociate» (2019).