La critica musicale dalla rete alle prospettive: l’intervista a Guido Festinese

La musica è cambiata o meglio è cambiato il contesto. Non poteva a questo punto, che mutare anche la critica musicale. Castrata in tempi di teatri chiusi, dove diventa impossibile effettuare le recensioni, se non sugli streaming che vengono proposti per Natale, tra tutti ricordiamo ad esempio “la chiamata alle armi” di Federico Sirianni e Max Manfredi del “Christmas Concert” il 19 dicembre sul palco della Sala Aldo Trionfo (Teatro della Tosse) con tanti ospiti tra musicisti, attori, poeti e cantautori genovesi. Uno streaming professionale con la possibilità di interagire e commentare che tenta di arrivare ai 500 posti virtuali della sala (offerta minima di 10 euro da effettuare, correlata di nome cognome e indirizzo mail, su PayPal.me/federicosirianni) e su cui ci sarà sicuramente di che scrivere.

Eppure coronavirus a parte già da anni la critica musicale trova sempre meno posto nei quotidiani o negli online degli stessi, in una crisi continua e in una mancanza di remuneratività per il giornalista (che tra ascolto e recensione si può trovare tranquillamente a lavorare per 2 euro all’ora) che tende ad azzerare anche la domanda di lavoro. Resistono le riviste specializzate e i siti, come questo, nati per la volontà di dare un taglio critico e di approfondimento, un orientamento all’ascolto ragionato senza improvvisazioni di sorta, come capita fin troppo spesso con sedicenti tuttologi. Nella storia i momenti di maggiore rilievo della critica sono stati il Rinascimento, il Secolo dei Lumi dove conquistava la stampa quotidiana e periodica fino alle figure dei filosofi letterati e dei musicisti scrittori, un caso celebre quello di Robert Schumann e della sua Neue Zeitschrift für Musik. In Italia possiamo ricordare tra gli altri nell’Ottocento proseguendo in ordine cronologico la Gazzetta Musicale, la Rivista Musicale di Firenze o la Gazzetta Musicale di Milano. Grosso modo fino al Novecento la critica si è dimostrata viva e vegeta, cosa ha portato alla sua parabola di decadenza? La risposta si intreccia forse con la globalizzazione, con una fruizione tramite social e YouTube che allarga le platee, ripropone una sorta di contemporaneità e rende, a detta di molti redattori, superata la recensione di uno spettacolo quando si tratti di un unicum.

“Ha senso quando ad esempio è la prima di un’opera e ci saranno diverse repliche per fare opinione” dicono spesso dai quotidiani. Ma è davvero così? Siamo tornati ad un mondo della cosiddetta “informazione pura”, delle news, avanti una e via l’altra? Il dovere di critica è ancora un’urgenza per svariate firme del settore, tra queste il noto critico musicale Guido Festinese, per cui “L’avvento dell’era digitale ha sprigionato enormi potenzialità, ma anche i grandi limiti della rete”. Guardare è più semplice che leggere o, per essere più precisi, rileggere.

Guido Festinese in uno scatto di Vittorio Santi.
Guido Festinese in uno scatto di Vittorio Santi, courtesy stampa.

 

“Avete sentito parlare – continua Festinese- de La terza fase. Forme di sapere che stiamo perdendo di Raffaele Simone? Troverete tra le pagine la trasformazione della tecnica posta in relazione con il nostro modo di pensare e gli effetti di questo macrocambiamento. Vi si affronta la terza grande mutazione antropologica dell’apprendimento e si mette in evidenza una grande difficoltà che riscontro spesso tra i giovani: la rete mette tutto su un piano di sincronicità dove si perde l’asse diacronico, la concezione di un prima e un dopo. A discapito pure  della ‘gerarchizzazione’ del sapere, per usare una parola semplificata. Tutto sembra equivalere, è difficile orientarsi tra le fonti, gli effetti valoriali e le prospettive storiche. Spesso i ragazzi online trovano di tutto, ma non sanno cosa cercare e che peso darvi oppure non ne hanno gli strumenti. Dico sempre loro: per fare questo mestiere oggi ci sono grandi opportunità, ma occorre essere preparati e soprattutto continuare a studiare”.

Tra gli altri spunti che suggerisce Festinese riporto ancora di Giuseppe De Rita e Antonio Galdo “Prigionieri del presente. Come uscire dalla trappola della modernità” pubblicato da Einaudi. Una condizione che oggi ci schiaccia e ci rende prigionieri. Come singole persone, come comunità e come società. Il virtuale in un’eterna connessione rende opaco il reale e scollegati dal passato e dal futuro. E come diceva Camus “il senso della vita è resistere all’aria del tempo”.