Il 27 maggio 1840 Paganini moriva nella sua casa di Nizza, vinto da una serie di malattie che nel tempo ne avevano irrimediabilmente minato il fisico. In questo articolo Marco Pescetto, nostro collaboratore e medico di professione offre un interessante quadro clinico del “paziente” Paganini.
All’età di tre anni, in concomitanza con la morte per morbillo della sorella Angela, Nicolò Paganini si ammala gravemente della stessa malattia e, forse colpito da encefalite, viene considerato morto quando cade in crisi catatonica. Avvolto in un sudario e iniziato il servizio funebre, viene notato il piccolo movimento di una mano che gli permette di sfuggire a una prematura sepoltura. Diventato adulto è protagonista di tournèe memorabili in tutta Europa e un celebre medico del tempo a lui vicino, Francesco Benati così ne descrive il singolare atteggiamento : “Senza la peculiare conformazione del suo corpo, delle spalle delle braccia e delle gambe, non sarebbe mai divenuto lo straordinario virtuoso che oggi ammiriamo. La spalla sinistra è più alta della destra e ciò fa sì che il lato destro appaia più lungo di quanto non sia quando sta dritto, con le braccia che pendono lungo i fianchi. Si possono osservare l’elasticità dei tendini delle spalle, il rilassamento dei muscoli che collegano il polso all’avambraccio, la giunzione delle mani con le falangi. La sua mano non è più lunga del normale ma, per l’elasticità di tutto il corpo, ha un’estensione doppia. In questo modo può senza cambiare posizione della mano piegare le articolazioni superiori delle dita della mano sinistra in direzione laterale con grande facilità e rapidità”.
A causa dell’insolita flessibilità della mano sinistra riusciva a coprire tre ottave e, per la flessibilità dell’articolazione della spalla con naturalezza accavallava i gomiti uno sull’altro eseguendo i Capricci con una rapidità e un coordinamento dei movimenti sbalorditivo, ineguagliabile per qualsiasi altro violinista. Le osservazioni di Benati, pubblicate nel 1831 sulla “Revue de Paris” colpiscono profondamente Goethe che così scrive all’amico Zelter . “Egli spiega in maniera molto chiara come il talento musicale di quest’uomo straordinario, attraverso la conformazione del corpo e le proporzioni delle membra, fosse predeterminato, favorito, di fatto forzato a tirar fuori l’incredibile, l’impossibile.”
A questo punto sorge una domanda; l’unicità e irriproducibilità della tecnica paganiniana era legata a un esercizio forsennato, come sostenuto da diversi medici del tempo nonché dal suo unico vero allievo Camillo Sivori, che sottoponeva un fisico normale a sollecitazioni meccaniche eccezionali, o piuttosto era riconducibile a una malattia congenita quale la sindrome di Marfan, malattia del connettivo che causa lassità di tendini e legamenti delle articolazioni come sostenuto da M.R. Schoenfeld, oppure alla sindrome di Ehlers-Danlos caratterizzata da iperelasticità degli stessi? Studi più approfonditi hanno escluso la prima ipotesi riguardante soggetti longilinei con mani molto lunghe e portatori di valvulopatia mitralica niente affatto coincidenti con un uomo di statura media, mani normodimensionate e assenza di cardiopatie come era Paganini ; né parrebbe suggestiva la seconda che sì causava affaticamento muscolare che prostrava il paziente ma coinvolgeva soprattutto donne e bambini. In buona sostanza anche la presunta “aracnodattilia” della mano sinistra del maestro sembrano essere collegate a una “passione ossessiva per l’esercizio” come asserito anche dal Dr. Martecchini, invitato ad esaminare la mano sinistra del violinista al termine di un’esibizione. Superato il dramma del morbillo, Paganini gode di discrete condizioni di salute sino all’età di 38 anni quando nel 1820 è colto da tosse cronica e calo ponderale; un medico palermitano gli prescrive la cura “Roob”, lassativi a base di estratti di frutti concentrati. Persistendo la tosse con abbassamento di voce il Dr. Siro Borda a conoscenza di frequenti relazioni sessuali occasionali del maestro, fa diagnosi di infezione sifilitica e gli prescrive mercurio per bocca e oppio per sedare la tosse che gli causa grave stomatite con caduta dei denti e disturbi intestinali senza recare benefici; per paura che il quadro peggiori Nicolò continua ad assumere il mercurio che gli causa stitichezza e gli vengono imposti salassi.

In questo periodo egli è affetto da frequenti raffreddori, laringiti, bronchiti ai cambi di stagione; a Napoli è colto da febbre catarrale con tosse convulsiva e crisi di soffocamento e dolori al laringe; i medici locali sospettano una laringite tubercolare secondaria alla sifilide e gli consigliano ancora mercurio per bocca che gli provoca ascessi dentari e ulteriore caduta dei denti e il purgativo Leroy che gli causa disordini intestinali. Incontrato a Vienna l’amico Dr. Benati , questi gli impone di interrompere l’uso del mercurio e la laringite migliora e, per poter escludere la tubercolosi, fa effettuare dal collega Dr. Miguel, esperto nell’uso dello stetoscopio, nuovo strumento scoperto da Laennec, una ascoltazione degli apici polmonari che esclude definitivamente l’affezione tubercolare. Nel contempo, l’intossicazione cronica da mercurio produce una infezione dentaria di molti denti che gli provoca una osteomielite della mandibola che per essere fermata richiede l’estrazione di tutti i denti dell’arcata inferiore e un incremento della salivazione con espettorazione di escreato maleodorante. Il calo della vista che lo induce a indossare occhiali blue a protezione dalle luci determina uno stato depressivo del musicista che, da impetuoso, aggressivo e sicuro di sé diviene solitario e apatico; il pubblico lo spaventa e lo intimidisce, cala la libido. Tra il 1823 e il 1828 le persone che lo avvicinano colgono un mutamento del suo aspetto fisico: un pallore mortale, il colorito grigiastro si fanno strada con altri segni di decadimento : il peggioramento della grafia e il tremore. Dal 1834 le esibizioni si diradano. Paganini, diventato diffidente della medicina ufficiale, si lascia affascinare dal purgante di Leroy, composto da estratti vegetali che secondo le credenze popolari aveva efficacia sia contro l’intossicazione cronica da mercurio, sia contro la sifilide. Pertanto il maestro declina le sue giornate assumendo cinque cucchiaiate di purgante due volte al giorno costituito da Scamonea, Turbith vegetale e Gialappa, estratti di piante siriane, indiane e messicane oltre il Calomelano, cloruro mercuroso che metteva ogni giorno nel te. Questi presunti rimedi, corrodendo la mucosa esofagea, conducono il povero violinista a una stenosi dell’esofago creandogli difficoltà nella deglutizione e quindi necessità di sminuzzare il cibo per farlo progredire nel tubo digerente. Nicolò impiega non meno di due ore per mangiare e perde peso. A fine gennaio del 1837 a Marsiglia, a causa di una probabile infezione delle vie urinarie, va in ritenzione urinaria acuta con febbre e concomitante orchite; il Dr. Spitzer gli prescrive l’utilizzo di candelette forate graduate per estrarre l’urina. Provato nel fisico compie l’ultimo viaggio in carrozza per raggiungere Nizza presso l’abitazione di un amico, il Conte Ilarione Spitalieri dove giunge febbricitante col testicolo gonfio come una pera e sfinito si mette a letto, ma la tosse continua tormentarlo senza tregua ed egli scrive una lettera all’amico avvocato Luigi Germi dove manifesta il desiderio di riabbracciarlo a Genova, quando si sarà ristabilito. Ma a Genova non ritornerà più. Nella primavera del 1840, in evidente deperimento organico, compaiono astenia e gonfiore agli arti inferiori per insufficienza renale ingravescente, soffre di forti cefalee; divenuto afono ormai da settimane, con la tosse espettora sangue e comunica coll’amato figlio Achille quasi quindicenne che gli è sempre accanto a mezzo di bigliettini scritti con le dita malferme. Il pomeriggio del 27 maggio 1840 gli spira tra le braccia, nel suo letto di Via della Prefettura a Nizza. La salma, imbalsamata col metodo Gannal rimane esposta al pubblico per qualche giorno.
Che la causa finale di morte del celebre violinista e compositore sia legata esclusivamente all’intossicazione cronica da mercurio, come ritenuto da diversi medici del tempo, lascia tutt’oggi ombre di dubbi e perplessità. Pur concordi che il mercurio lo avesse indebolito e reso un malato cronico, l’indisponibilità a quei tempi di una laringoscopia indiretta e i frequenti episodi di emottisi associati a calo ponderale ingravescente, non possono escludere l’ipotesi di un cancro del laringe che lo avrebbe gradualmente prostrato e consumato portandolo all’exitus all’età di 58 anni.
