Gazzola, un tè a Chaverton House

Gli inglesi ci fanno impallidire con il loro aplomb, con lo humour e perché no, con un lessico da capogiro: sfido chiunque a rendere con la stessa magnificenza roboante in italiano “flamboyance of flamingos” o “a kaleidoscope of butterflies” o ancora “an ostentation of peacocks”.

Ebbene Alessia Gazzola trasporta anche questa poliglossia e questo amore per la musicalità della parola nel suo romanzo “Un tè a Chaverton House” (Garzanti), storia di una ragazza come tante in una famiglia upper-class e di successo (soprattutto). Lei invece, la nostra Angelica, deve dividere un alloggio con terrazzino con una coinquilina che le porta via il fidanzato.

Torna in mente, del resto, tra i suoi libri preferiti “Un giorno questo dolore ti sarà utile”. Senza certezze, senza lavoro arriverà a Chaverton House, un’antica dimora del Dorset sulle tracce di un enigma familiare dal contorno incerto. Una bisnipote alla ricerca dell’avo scomparso in Inghilterra a partire da vecchi ricordi, da un funerale a cui parteciparono notabili come Lord Hasbury in persona e di un vecchio articolo del “Daily Mail”, ma anche vecchie lettere piene di sentimento come “Maria, sto bene. Ricordami alle bambine, pensami sempre”.  L’avo è il soldato Focante Angelo, divisione Artiglieria 12esimo Corpo d’Armata, di Mondello, prigioniero in Inghilterra, al “Moorby Camp”, nella contea di Lincolnshire.

Da qui una girandola di scene inaspettate, storia, amicizia, passione (per fortuna quanto basta da piacere anche a chi non ama i romance), e soprattutto il gusto delle ambientazioni. Finale inaspettato, piacevole, avvincente, a parte un piccolo dettaglio che come nelle migliori tradizioni può essere intuito per tempo.

Nel complesso convince Alessia Gazzola (Messina , 1982) ,  del resto da una firma de “La Stampa” e del “corriere della Sera” per i supplementi culturali, nonché scrittrice di successo dal 2011 quando esordiva con “L’allieva” c’era da aspettarselo.