Le Sinfonie di Beethoven da Liszt a Bellucci

A cura dell’Associazione “Amici del Carlo Felice e del Conservatorio Paganini”, ieri l’Auditorium Montale ha ospitato la presentazione di un cofanetto di 5 CD contenenti l’integrale delle Sinfonie di Beethoven nella trascrizione pianistica di Franz Liszt, editi da”Brillioantclassic” e con l’eccezionale interpretazione di Giovanni Bellucci, presente all’incontro.

Un lavoro gigantesco quello di Liszt, ma un lavoro altrettanto titanico quello di Bellucci.

La trascrizione è  una pratica compositiva frequente nella storia della musica. Possiamo, per comodità, individuare due diverse tipologie di trascrizioni. Da una parte c’è la trascrizione indirizzata alla facilitazione della composizione originaria, ad uso, pertanto, di un pubblico di dilettanti. Il fenomeno del dilettantismo diventa di particolare interesse per gli editori già a metà del Settecento, all’epoca del cosiddetto stile galante. Ma è nell’Ottocento con il salotto nobile e borghese che il dilettantismo conquista una buona fetta del mercato editoriale, addirittura ci sono giornali che danno in omaggio spartiti per pianoforte, per voce e pianoforte, per violino e pianoforte. Penso, qui a Genova, al giornale  «Il Paganini» in cui si può trovare anche una celebre romanza di Puccini, Sole e amore, il cui tema poi confluì nel quartetto della Bohème.

Ci sono poi le trascrizioni che non si rivolgono ai dilettanti, ma ai grandi esecutori e rappresentano un’altra faccia della composizione originale.

Nel suo testo introduttivo ai cinque CD, Bellucci cita un’affermazione di Ferruccio Busoni: «Per innalzare la natura dellatrascrizione a dignità d’arte, in modo inconfutabile, è sufficiente fare il nome di J.S. Bach. Egli fu uno dei trascrittori piùfecondi di lavori suoi e altrui».

Tutta la vita Bach trascrisse opere altrui con una particolare attenzione alla letteratura italiana. Non era una “copiatura”, ma un modo per interiorizzare, approfondire quel linguaggio, farlo proprio e naturalmente piegarlo poi alle proprie visioni estetiche.

Il rapporto fra Beethoven e Liszt è estremamente interessante perchè incredibilmente stretto sul piano tecnico e programmatico.

A partire dalla Sonata op. 13 Patetica, Beethoven concepì la Sonata come un contenitore in cui riversare contenuti in totale libertà rispetto alle strutture formali precostituite. Non solo già nel primo tempo di quella Sonata il pianoforte mostra una aspirazione orchestrale che poi troverà conferma nelle grandi Sonate successive dall’op.53 all’op. 57.

Inutile dire che il pianismo orchestrale di Beethoven influenzò sensibilmente il pianismo romantico e soprattutto quello di Franz Liszt che tratta sempre la tastiera con un respiro ampio nello sfruttamento dei diversi registri, quasi sezioni di una grande orchestra.

Liszt chiamava le sue trascrizioni “partiture per pianoforte” proprio per sottolineare la volontà di offrire una riscrittura completa dell’originale.

 

Ancora Bellucci nella sua introduzione cita il pianista Carl Halle che nel 1836 a Parigi ascoltò un concerto tenuto da Liszt e diretto da Berlioz. Prima l’orchestra eseguì la “Marcia al supplizio” dalla Sinfonia Fantastica, poi Liszt sedette al pianoforte e rieseguì lo stesso brano sulla tastiera scatenando l’entusiasmo del pubblico.

La trascrizione pianistica del capolavoro di Berlioz venne stampata nel 1833, tre anni dopo la prima esecuzione sinfonica. Le sinfonie di Beethoven videro la luce gradualmente in un arco di tempo che va dal 1837 al 1864. Inizialmente Liszt completò la Quinta, la Sesta e la Settima. Le trascrizioni vennero pubblicate da Breitkopf attorno al 1840.

Il volume contenente le tre trascrizioni era dedicato a Jean-Auguste-Dominique Ingres in ricordo dei tempi in cui Liszt aveva eseguito a Roma (1839, Villa Medici) le sonate di Beethoven per violino e pianoforte accompagnandosi in duo con il pittore francese, cui si deve tra l’altro un bel ritratto di Paganini.

Il lavoro sulle Sinfonie riprese quasi venticinque anni dopo. Liszt in procinto di diventare abate trascrisse ex novo le sinfonie mancanti, completò la Sinfonia Eroica, della quale nel 1841 aveva redatto solo la “Marcia Funebre”, e revisionò completamente le tre sinfonie già pubblicate negli anni ’30. La dedica della nuova edizione del ciclo completo, datata 1865, fu all’ allievo e genero Hans von Bülow.

«Avrei considerato – scrisse Liszt – lo confesso, come un impiego assolutamente inutile del mio tempo la pubblicazione di una ventesima versione delle sinfonie redatta in modo conforme alle abitudini fin qui consolidate, ma riterrò ben spese le mie ore se sarò riuscito a trasportare sul pianoforte non soltanto l’idea per grandi linee della Composizione di Beethoven, ma anche quella moltitudine di dettagli e accessori che contribuiscono così potentemente alla perfezione dell’insieme». Dunque una esplorazione totale, completa, quella di Liszt che sulla tastiera ricostruisce la partitura beethoveniana con una maniacale e puntigliosa attenzione ad ogni particolare.

Esplorazione totale che naturalmente pone non pochi problemi agli esecutori, chiamati a un autentico tour de force per risolvere le gigantesche partiture nelle quali ogni frase beethoveniana trova rispondenza nella scrittura di Liszt che ricorre ad ogni soluzione tecnica per rispondere alle più varie esigenze. Così, come ha magnificamente illustrato nella sua presentazione Giovanni Bellucci, Liszt inserisce trilli (tanto amati da Beethoven soprattutto nel suo ultimo periodo), o sposta di registro delle frasi per poter mantenere il controllo della materia sulla tastiera,  o ancora “aggiunge” arpeggi e altre soluzioni tecniche per dare quella varietà a eventuali ripetizioni che un’orchestra assicura con la variabilità di sezioni mentre per una tastiera ciò non è possibile se non ricorrendo a qualche nuovo artificio.

Considerato uno dei più autorevoli pianisti del nostro tempo («è un artista destinato a continuare la grande tradizione italiana, storicamente rappresentata da Busoni, Zecchi, Michelangeli, Ciani, Pollini»), vincitore di prestigiosi premi internazionali (dal “Regina Elisabetta” di Bruxelles al “Busoni di Bolzano”), Bellucci è fra gli interpreti più accreditati del repertorio lisztiano che ha esplorato, inciso ed eseguito innumerevoli volte. Ne fa fede questa preziosa incisione che consente di ammirare le pagine sinfoniche beethoveniane da angolazioni differenti, scoprendo, grazie alla lucida lettura dell’interprete, anche particolari che non sempre si avvertono in un normale ascolto sinfonico.