Carlo Felice: i colori del Novecento

Il cartellone sinfonico del Carlo Felice quest’anno prevede alcuni itinerari di approfondimento. Tra questi c’è un breve ciclo dedicato al Novecento. E l’ultimo appuntamento, poche ore fa, ha visto appunto Donato Renzetti affrontare quattro partiture assai diverse tra loro, altrettante sfaccettature della produzione dello scorso secolo. Denominatore comune, la ricerca coloristica tradotta in un gioco strumentale di estrema raffinatezza.

In apertura, dunque, le Due invenzioni per archi che Bruno Betttinelli compose nel 1939. Due pagine segnate da un intenso e doloroso lirismo tradotto in un attento lavoro di approfondimento espressivo sugli archi. Renzetti, direttore di grande esperienza e temperamento, ne ha assicurato una lettura vibrante e equilibrata, perfettamente assecondato dall’orchestra.

Poi la Suite ceca di Dvorak con la quale in realtà si è tornati all’Ottocento (1879), in una prospettiva, tuttavia, novecentesca di studio e riflessione sulla produzione popolare dell’est europeo. In questa ottica la fresca partitura di Dvorak si legava alle Danze di Galanta composte nel 1933 da Kodaly. Il folclore domina i due lavori, non solo sul piano ritmico, ma anche armonico e tematico. Renzetti ha governato con rigore lo strumentale, evidenziando i numerosi slanci anche solistici (l’intenso intervento del clarinetto risolto con gusto da Valeria Serangeli: ma tutte le prime parti si sono messe lodevolmente in evidenza), inquadrati tuttavia in una visione generale compatta e coesa.

Fra Dvorak e Kodaly, una perla di Ravel, Ma mère l’oye composta nel 1908 per pianoforte a quattro mani e orchestrata quattro anni dopo con quella genialità che è unanimemente riconosciuta al colto musicista francese. Cinque pezzi infantili  dalle atmosfere differenti in una visione fiabesca che conferisce semplicità espressiva e immediatezza comunicativa. Semplicità e leggerezza che hanno trovato in Renzetti un magnifico interprete.

Applausi calorosissimi e meritati. Una annotazione finale. Spiace che il Teatro abbia interrotto la pubblicazione di programmi di sala per la sinfonica, sostituiti da un foglietto A4 ripiegato e contenente solo l’elenco dei brani eseguiti (senza neppure l’indicazione di eventuali movimenti interni) e le note biografiche degli interpreti. Concerti di questo livello meriterebbero qualcosa di più.