Musica e impegno civile: I Canti di liberazione di Luigi Dallapiccola

Il nome di Luigi Dallapiccola è noto molto più agli studiosi e a pochi musicisti che non al grande pubblico. Le sue opere, che spaziano dalla musica strumentale a quella sinfonica all’opera, non sono lavori di facile ascolto, ma ciò non giustifica assolutamente l’oblio in cui quest’autore importantissimo, profondissimo e ferratissimo, è caduto in Italia. A Firenze, città dove Dallapiccola ha vissuto dal 1922 alla morte nel 1975, gli sono stati dedicati tre “Dallapiccola days” a Marzo dello scorso anno. Il direttore Gianandrea Noseda ha fortunatamente ricominciato a presentare in concerto alcune sue pagine orchestrali e anche l’opera in un atto Il prigioniero, di grandissima attualità, intelligenza e forza drammatica. Speriamo che altri seguano il suo esempio e che i coraggiosi esponenti dello strumentalismo italiano del novecento, ricompaiano ogni tanto negli scipiti ed ammuffiti cartelloni delle italiche istituzioni lirico sinfoniche.

Dallapiccola (1904-1975) di origine istriana, approda a Firenze nel 1922. Frequenta il Conservatorio, inizia una carriera internazionale di pianista spesso in duo con l’amico violinista Sandro Materassi. Già da bambino aveva sperimentato la condizione di un semi esilio dalla nativa Pisino a Graz, in quanto il padre risultava persona infida dal punto di vista politico al regno austro-ungarico. Nel 1938 quando Luigi risiede ormai da molti anni a Firenze, vengono emanate anche in Italia, le leggi razziali antisemite. Nello stesso anno il compositore   sposa Laura Coen Luzzatto, il cui cognome denota l’origine ebrea. Dallapiccola si pone il problema etico di come un compositore di musica possa “protestare” contro leggi e disposizioni inique ed ingiuste. 

“Stavo lavorando alla mia prima opera Volo di notte quando presero a circolare strane voci che il fascismo potesse dare il via, dopo l’esempio hitleriano, ad una campagna antisemita… Avrei voluto protestare, ma insieme sentivo che ogni mio gesto sarebbe stato vano. Solo attraverso la musica avrei potuto esprimere la mia indignazione… Proprio in quei giorni avevo terminato la lettura della Maria Stuarda di Stefan Zweig in cui avevo scoperto una breve preghiera scritta dalla regina negli ultimi anni di carcere. Tuttavia un solo brano mi sembrava troppo poco per esprimere completamente la mia protesta. Dovevo cercare altri testi, di altri prigionieri famosi». 

Nascono così i Canti di prigionia per coro due pianoforti, due arpe e percussioni. Nel 1955 a dieci anni dalla fine della guerra e dalla caduta del fascismo, Dallapiccola completa un altro trittico per coro e orchestra sinfonica stavolta al completo: i Canti di liberazione

Qualcuno potrebbe aspettarsi che dopo l’atmosfera angosciata dei Canti di prigionia, i nuovi Canti di liberazione indulgano a catarsi ottimistiche ed a prospettive giubilanti. Niente affatto. Il nuovo lavoro dallapiccolliano è architettato in modo inappuntabilmente austero e rigoroso. Dal punto di vista stilistico accomuna le due composizioni l’utilizzo sapiente della tecnica dodecafonica, scoperta da Dallapiccola negli anni Venti, grazie alla lettura del Manuale d’armonia di Arnold Schoenberg.

Per il compositore istriano-fiorentino tale tecnica compositiva diventa l’unica possibile rispetto alla tonalità tradizionale e questa convinzione farà sì che Dallapiccola diventi, giusto negli anni Cinquanta, l’autore italiano di riferimento assoluto. Terrà lezioni al Berkshire Centre of Music a Tanglewood, fondato da Sergej Kusevickij ed avrà in Italia allievi illustri tra cui Luciano Berio, Bruno Maderna, Luigi Nono, Camillo Togni.

Oggi l’antinomia linguaggio tonale e serial dodecafonico appare cosa del passato, ed ancor oggi le musiche di Schoenberg, Berg, Webern, e dei loro discepoli vengono percepite come inascoltabili, cacofoniche ecc. Ma al di là dell’interesse strettamente musicale, molti lavori basati sulla nuova tecnica, risultano assolutamente emozionanti e godibili (dove godibilità non è sinonimo di divertimento!!). 

I Canti di liberazione  ne sono chiarissima testimonianza; la dodecafonia di Dallapiccola è assolutamente personale e ad essa si intreccia una solidissima cultura musicale che attinge alla tradizione italiana dei madrigali, del cantus firmus e una coloritissima capacità di orchestrazione. Il primo ed il terzo canto sono scritti in tempo lento (Molto lento, flessibile il primo su testo di Sebastiano Castellio e Lento misterioso il terzo su testo di Sant’Agostino), mentre il secondo episodio in cui il testo è tratto dal libro dell’Esodo è un “molto animato con impeto”.

I nuovi Canti furono eseguiti a Colonia il 28 ottobre 1955, decimo anniversario della liberazione di Firenze. Comune a tutti e tre i testi è l’uso della lingua latina. Il primo vede protagonista Sebastiano Castellio, un oppositore di Calvino in un’appassionata esortazione a credere negli ideali di tolleranza e libertà (“O frater, frater….si esset firma fides nostra, fierent in nobis divina”), contenuta nella Lettera ad un amico del 1555: la scrittura musicale è mirabilmente condotta con le voci del coro maschile e femminile contrappuntate tra di loro e con l’orchestra, in cui i rintocchi del pianoforte e i sordi interventi degli ottoni, rendono l’atmosfera densamente cupa. Il secondo canto  propone l’idea di un Dio vincitore (“Dominus quasi vir pugnator, omnipotens nomen ejus”). Il tempo veloce conferisce all’episodio una forza impetuosa di grande effetto a partire dall’attacco delle percussioni; anche qui nulla di giubilante viene proposto, ma una grandiosità tragica che ha in alcuni crescendo una manifestazione quasi violenta; il terzo canto mette in musica un brano dalle Confessioni di Sant’Agostino. L’apertura e la prima sezione avvengono in tempo lento molto misurato con uno sviluppo a tre voci; la seconda parte introduce elementi più movimentati che accendono i testi delle Confessioni, di per sé certamente non testi poetici, inventando sonorità sempre originali non per illustrare musicalmente una parola o una frase, ma per accrescerne il significato attraverso una veste sonora sempre cangiante. 

Ed è proprio questa capacità inventiva che rende Luigi Dallapiccola un compositore di altissimo livello. In tempi di anniversario della liberazione i Canti sono occasione musicale e culturale preziosissima: si ascoltino magari uno alla volta, tenendo sott’occhio il breve testo. Si apprezzerà un lavoro di altissima qualità artistica di un uomo che ha saputo unire arte e riflessione sul proprio tempo. E non sorprenda più di tanto la vena tragica dei Canti di liberazione. Siamo mai veramente liberi,viene da domandarci? Ma al di là di questo, la conquista della libertà non è un fine raggiunto una volta per tutte ma qualcosa che occorre mantenere e riconquistare in un processo che non finisce mai. Ed è forse anche per questo che Dallapiccola ha evitato ogni deriva “celebrativa” in queste sue preziose musiche, da ascoltare per riflettere e vivere, quasi a ricordare la caducità della libertà riconquistata. Dei Canti di liberazione se ne trovano diverse edizioni sul web e in cd.