Angelo Mariani: gli anni genovesi (1852 – 1873). Lettere e documenti è il titolo del prezioso studio critico pubblicato recentemente da Ledizioni di Milano. Ne è autrice Carmela Bongiovanni, musicologa, docente e bibliotecaria presso il Conservatorio “Niccolò Paganini”.
Ravennate, Angelo Mariani è stato il primo grande direttore d’orchestra italiano nell’accezione moderna del termine, il primo cioè a lasciare l’archetto per la bacchetta, a salire sul podio e da lì concertare e dirigere.
La sua apparizione al Carlo Felice fu evento rivoluzionario.Dopo la prima di Rigoletto (26 dicembre 1852) “La Maga” annotò: “Faremo pure i nostri complimenti al Signor Mariani Direttore dell’Orchestra per la sua solita bravura nel dirigerla, ma avremmo preferito di vederlo dirigere col suo solito archetto e col violino anziché con quella certa cosa, che non sapevamo che fosse, ma che ci venne detto essere una bacchetta”.
Nell’attento e documentato studio di Carmela Bongiovanni è delineato il profilo musicale di Mariani sia in relazione alle sue idee sul teatro, sull’orchestra e sulle modalità di interpretazione del repertorio teatrale e musicale del tempo, sia in rapporto alle istituzioni musicali locali genovesi e al suo contributo in particolare per quanto concerne la definzione e il ruolo del direttore d’orchestra moderno e del direttore delle opere. Rispetto a molti suoi contemporanei, Mariani si distingue per una multiforme attività che lo porta a dirigere, a comporre, a proporsi come esecutore al pianoforte o come insegnante. A lui si deve uno svecchiamento sensibile dei programmi del Carlo Felice. Paladino del teatro verdiano, fu però anche il primo interprete italiano di Wagner e questa “ambivalenza” in un’epoca in cui i due giganti del teatro europeo si guardavno (o erano costretti a farlo dai rispettivi fans) in cagnesco ne fa un artista illuminato e super partes.
“Nella sua autobiografia – spiega Carmela Bongiovanni – Mariani racconta che in realtà lui voleva recarsi in Germania, ma trovandosi bene a Genova scelse di fermarsi stabilmente. Le motivazioni di questa scelta sono molteplici. Non dobbiamo trascurare la situazione politica di Genova e del regno di Savoia a metà dell’Ottocento: in virtù dello Statuto Albertino (1848), vi era garantita una certa libertà individuale e di associazione. Un’altra importante ragione è data dalla presenza in questa città di una orchestra civica. A differenza di altre realtà, gli orchestrali a Genova dal 1850 erano assunti a tempo indeterminato come dipendenti del Municipio, con le conseguenti tutele in caso di malattia e la possibilità di ottenere una pensione al termine della propria carriera. Ovviamente non deve stupire che le paghe non fossero troppo elevate, come spesso lamenta lo stesso direttore d’orchestra”.
L’esperienza di Mariani consente all’autrice di esplorare e chiarire il concetto di ‘interprete’ e ‘interpretazione’ nel XIX secolo. “Il significato è assai diverso rispetto a quello odierno: nel pieno e secondo Ottocento per interpretazione da parte del direttore d’orchestra si intende talora ‘elaborazione’, o quasi ‘arrangiamento’, ritocco nell’orchestrazione, aggiustamenti armonici, rettifiche sonore, se necessarie, ecc. Questa modalità poco ortodossa che Mariani si sente in dovere di ‘esprimere’ quando necessario, la ritroviamo anche nei direttori d’orchestra delle generazioni successive, almeno fino a Mahler e Toscanini”. Scrupolosa, infine, l’attenzione alle amicizie importanti di Mariani a Genova. Su tutte, oltre a quella per Verdi (in realtà sul finire della vita messa in discussione per questioni sentimentali oltre che artistiche) quella profonda con lo scrittore e patriota garibaldino Tra le amicizie e frequentazioni genovesi di Angelo Mariani segnalo quella con il patriota garibaldino, scrittore Anton Giulio Barrili (1836-1908).