Farida Simonetti: Palazzo Spinola, la mia seconda casa

“Nemo propheta in patria”, recitava un antico detto latino. Come dire, se vuoi avere successo, è meglio che tu prima vada ad affermarti fuori e poi hai qualche chance di essere accettato anche in casa tua. Soluzione che funziona piuttosto bene specie in una città alquanto chiusa e “avara” nei confronti dei suoi figli, come è Genova. Ci sono tuttavia casi di genovesi che hanno resistito, hanno costruito la loro carriera qui, raggiungendo nei loro ambiti traguardi importanti, rinunciando magari ad allettanti richiami “esterni”. Possiamo citare Marco Sciaccaluga, una vita passata al Teatro Stabile. E ora è il caso di Farida Simonetti, la “signora” di Palazzo Spinola dove entrò come giovane laureata nel 1980 e da cui si è congedata per il pensionamento nei giorni scorsi.

-Quarant’anni in cui Palazzo Spinola è stata in pratica la sua seconda casa…

“Mio marito sostiene che sia stata la prima. Ci sono arrivata nel 1980 quando l’allora Soprintendente per i Beni Artistici e Storici della Liguria Giovanna Rotondi Terminiello mi  affidò la cura del Palazzo. Ventidue anni prima i fratelli Spinola avevano  donato allo Stato italiano la loro dimora di piazza di Pellicceria e avevano imposto un vincolo particolarmente illuminato: il Palazzo avrebbe dovuto mantenere il senso di dimora. Una scelta in quei tempi controcorrente che si sarebbe affermata poi come vincente: basta pensare al riconoscimento da parte dell’Unesco dei Rolli”.

-Nel 1987 assume la direzione del Palazzo e Spinola gradualmente cambia…

“Inizialmente si erano operati interventi sulla quadreria. Poi si è affrontato il problema architettonico più articolato e rispettando  il vincolo dei donatori il Palazzo è stato strutturato secondo una duplice visione. I due primi piani hanno mantenuto l’assetto di dimora, mentre i due piani soprastanti che erano stati  bombardati e ricostruiti dopo la guerra sono diventati un museo vero e proprio ospitando opere acquistate dallo Stato per Genova. Nel 1992 grazie ancora alla Terminiello c’è stata una splendida inaugurazione”.

-I suoi ricordi più belli?

“Certamente il giorno della inaugurazione non potrò mai dimenticarlo perché era il raggiungimento di un grande obbiettivo. E poi debbo ricordare il 2004 perché è stato un anno meraviglioso per Genova: si lavorava tutti insieme per rilanciare la cultura della nostra città, tutti i musei furono ristrutturati e rilanciati, si respirava un’atmosfera meravigliosa”.

-E i più brutti?

“Non c’è un momento particolare. Ci sono le chiusure, le lotte per mantenere l’apertura contro la mancanza di personale o le rinunce obbligate dalla diminuzione di fondi. Sono stata fortunata ad avere il personale che ho avuto perché anche nei momenti più difficili ho sempre potuto contare sull’entusiasmo e la buona volontà di tutti. Ma certamente ci sono stati periodi difficili”.

-Com’è diventata un’esperta d’arte?

“Debbo tutto alla mia insegnante di storia dell’arte del liceo Doria, la professoressa Leboroni. Le sue lezioni mi aprirono un mondo e da allora non ho mai avuti dubbi sul mio futuro”

-In quarant’anni com’è cambiata Genova?

“Per il settore musei è cambiata totalmente,  e in senso positivo a partire dal citato 2004. Per quanto riguarda Palazzo Spinola, il territorio circostante, il centro storico, non è più quello di prima. Un tempo c’era un tessuto sociale che oggi non esiste più. Negozi di artigiani, una vita intensa. Ora ha acquistato sul piano turistico, ma ha perso la sua identità”.

-Accanto al suo lavoro a Palazzo Spinola, per anni è stata una delle anime della rinascita del Teatro Sociale….

“Ho vissuto anni entusiasmanti per il suo recupero. Sono stata tra i fondatori della Fondazione che si è posta l’obbiettivo della ricostruzione del teatro storico di Camogli. Ne sono stata vicepresidente per molti anni, poi quando il presidente Silvio Ferrari nel 2018 ha lasciato ho assunto la presidenza per pochi mesi, fino alla scadenza del mandato. Un’esperienza molto importante perché aver riportato in vita un Teatro splendido come il Sociale è stato motivo di grande soddisfazione”.

-Progetti?

“Sto finendo un libro sugli ex-voto del Santuario di Nostra Signora del Boschetto, uno dei luoghi fondamentali per capire le raidici di Camogli, un modo per raccontare la vera storia di questa città, il suo fiorire ottocentesco quando vantava una grande flotta mercantile. Un tuffo nel passato anche per capire meglio il presente”.

-Torniamo a Spinola. C’è un episodio che ricorda con particolare divertimento?

“Molti anni fa venne in visita a Genova la principessa Margareth d’Inghilterra. Arrivò anche a Palazzo Spinola e le feci fare il giro dell’intero edificio. C’era uno spiegamento di forze imponente, cecchini sui tetti. Andò tutto bene e alla fine arrivammo in cima e la condussi su un terrazzino sul tetto da cui si domina il centro storico. Le feci individuare alcuni palazzi storici, la Cattedrale, ma mi accorsi che si era fissata verso un punto. Guardai anch’io in quella direzione: davanti a noi in un palazzo vicino, nella sua abitazione, c’era un signore in mutande e canottiera che si stava cucinando il pranzo sui fornelli. Canticchiando si volse verso la finestra e vide i cecchini, la principessa e tutti noi: imbarazzato fece un gesto di saluto con la mano e continuò a prepararsi il pranzo!”.