Il 2021, con la prospettiva del vaccino risolutore, ci ha portato in dono anche un nuovo colore. Al giallo, all’arancione e al rosso si è recentemente aggiunto il giallo rinforzato, una gradazione intermedia che ha in sé qualcosa di misterioso e sembra preannunciare il prossimo inserimento anche di un arancione rinforzato: tappe intermedie in un percorso che sembra non avere fine. Del resto a districarsi fra divieti e concessioni nel passaggio da un colore all’altro credo che siano davvero in pochi.
Si leggono i decreti più e più volte e spesso non si capiscono non solo le proibizioni, ma anche e soprattutto le deroghe.
Una cosa è certa. Se giustamente si discute di ristoranti e bar costretti ad alzare e abbassare le serrande all’iscurirsi della tinta, se al centro di molteplici, preoccupate discussioni ci sono, a ragione, tante categorie di lavoratori a rischio, di cultura ormai non se ne parla neppure più.
Teatri, cinema, auditori, musei sembrano essere gli unici “lazzaretti” che non meritano la minima attenzione. Possibile, ci si domanda, che non si possa pensare ad aperture controllate in orario, ad esempio, pomeridiano per rispettare il coprifuoco delle 22? Da più parti nei mesi scorsi si era sottolineata la assoluta sicurezza dei teatri: numero di spettatori rigidamente contingentato, tutti con mascherina, entrate e uscite regolamentate. Si era sostenuto che la decisione era legata ai problemi di trasporto. Prendiamone atto. Ma se di pomeriggio la gente gira tranquillamente per le strade, perché non può, in numero stabilito accedere a un museo o a un teatro? Ci sarà qualcuno di meno nei negozi a fare calca.
Qualche anno fa i giornali titolarono a piena pagina che il pubblico dei teatri aveva superato quello degli stadi. I Teatri insomma non sono salotti per un pubblico di nicchia che può consolarsi ascoltando qualche LP in casa. I Teatri sono un luogo di cultura viva, aperta che può contare su un pubblico crescente e muove un’economia rilevante. Di cultura si mangia eccome, si sostiene da anni in contrasto con quel ministro che un po’ grossolanamente aveva affermato il contrario. E oggi la maggior parte degli artisti (quelli non stabilizzati) rischia di dover cambiare mestiere, ammesso che ci riesca.
Perché un tale accanimento, dunque, nei confronti dei teatri? C’è un disegno dietro? (approfittare della chiusura per aggiustare qualche bilancio? Favorire uno sfoltimento di teatri e iniziative facendo morire le più deboli? Abituare il pubblico alla rete per diminuire gradualmente gli spettacoli dal vivo?) Oppure è solo scarsa considerazione per un settore che, invece, conta in Italia in maniera determinante e fa del nostro Paese uno dei principali al mondo?
Se teatri, cinema e musei piangono, la scuola non ride di certo. Il primo lockdown fu affrontato da docenti e studenti con forza e determinazione: comune era la volontà di reagire e trovare una alternativa alla didattica consueta. Iniziative lodevoli in tutta Italia. Penso con ammirazione allo sforzo di tanti colleghi nel settore musicale che si sono inventati lezioni di strumento online e che hanno mantenuto vivo il rapporto con i loro studenti. Oggi sta subentrando in maniera irreversibile una sfiducia generale, una stanchezza nel dover comunicare attraverso un video, sia esso di un pc o di un tablet o di un telefonino. L’insegnamento non è fatto solo di nozioni, proiezioni di video, letture a distanza. Poggia anche sul confronto diretto, fisico sullo scambio immediato a più voci. Agli studenti mancano i compagni e li cercano fuori, nei locali, talvolta dando origine ad assembramenti pericolosi perché meno contingentati (dove sta il senso?). Ai docenti manca l’approccio diretto con la classe che è fatto di mille sfumature, tutte utili a una crescita collettiva.
C’è tuttavia un altro rischio grave nell’attuale situazione. Nella scuola condannata alla DAD sta venendo meno un principio fondamentale sul quale la scuola deve basarsi, l’equità. In classe tutti si è, o almeno si dovrebbe essere, uguali. E invece la didattica a distanza sta evidenziando le differenze sociali, di reddito. La possibilità di seguire al meglio una lezione, ora, dipende anche dal contesto familiare, dalla casa in cui si abita, dalla possibilità o meno di avere un pc o un tablet attrezzato o di doverlo condividere con fratelli e sorelle. E’ un problema enorme che probabilmente non è ancora stato evidenziato a dovere nella sua effettiva gravità.
Lo scorso anno, promozioni a parte, ha avuto un esito negativo per migliaia di studenti. Quest’anno la situazione rischia irrimediabilmente di ripetersi. Ci vorranno anni per rimediare ai danni psicologici e culturali di questa pandemia.