“Pas de deux for Toes and Fingers” era il titolo dello spettacolo ospitato ieri sera ai Parchi di Nervi nell’ambito del “Nervi Music Ballet Festival 2021” organizzato dalla Fondazione Carlo Felice.
IL titolo fa riferimento ai due protagonisti, uniti nell’arte come nella vita, la splendida etoile del Bolscioi Svetlana Zakharova e suo marito, il celebre violinista Vadim Repin. Le punte della prima, le agili dita del secondo per una serata all’insegna del virtuosismo.
La danza
di Francesca Camponero
Titolo intelligente “Pas de deux for Toes and Fingers”, che farebbe pensare ad un programma audace e sperimentale che riveli qualcosa di più di quanto si sa e si vede della coppia nei loro rispettivi ecosistemi, dove sono superstar, ma non è proprio così.
Il contenuto dello spettacolo arrivato sul palcoscenico di Nervi ieri sera non ha nulla di avventuroso, nè audace anche per gli standard dei galà di balletto. Dopo l’apertura musicale da parte di Repin e l’orchestra del Carlo Felice, la Zakharova ha fatto il suo ingresso con l’Adagio di Raymonda su musiche di Glazunov, non nella nota versione coreografica di Grigorovič da Petipa, ma in una rilettura neoclassica firmata Asami Maki, danzando insieme al collega del Bolshoi Mikhail Lobukhin. Ineccepibile come sempre anche nel dosare ogni passo sul tappeto di linoleum umido come sempre accade sul palco di Nervi la sera.
Alternando musica e danza l’etoile si è ripresentata dopo l’esibizione del marito con due brani firmati Bigonzetti, di cui sicuramente più bello ed azzeccato il secondo, Caravaggio, su musica di Bruno Moretti. In questo brano abbiano anche visto il debutto genovese di Jacopo Tissi, il primo ballerino italiano Principal al Bol’šoj. Alla bella coreografia la coppia ha dato un tono nuovo, più elegantemente stilizzato che seducente. Tissi ha dimostrato tutte le sue doti di danseur noble che lo rendono assolutamente all’altezza (anche nel vero senso della parola) di stare accanto alla grande star russa.
La Zakharova si è poi ripresentata al pubblico in quello che si può considerare l’unico pezzo in cui l’emozione genuina sembrava trafiggere il suo esterno d’acciaio: l’assolo contemporaneo, Revelation, del coreografo giapponese Motoko Hirayama. Impostata su una colonna sonora registrata da John Williams, la coreografia è piena di una miriade di cliché contemporanei. In uno stretto cono di luce, la ballerina senza scarpe da punta, in camicia da notte e coi capelli sciolti, si contrae, si rotola sul pavimento, striscia dietro e sopra una sedia, seguendo una musica al pianoforte rafforzata da suoni sibilanti. Mentre il sibilo diventava più forte, la ballerina appare in preda al panico. Alla fine, però sembra riacquistare un po’ di forza interiore, segnalata dal suo lanciare la gamba fino al naso e afferrarla lì con le mani. E qui, dopo aver già avuto ampie prove delle sue estensioni (davanti, di lato e dietro), pensiamo che siano irresistibili anche per alcuni coreografi moderni.
Estensioni di cui deve fare a meno nell’esecuzione del cigno morente. The Dying Swan infatti richiede ben altro che l’elevazione delle gambe. Il breve assolo (conosciuto anche come Il cigno) composto da Fokine espressamente per la grande danzatrice Anna Pavlova, che lo tenne in repertorio, senza mai abbandonarlo, fino alla fine dei suoi giorni (morì infatti prematuramente nel 1931 a soli quarantanove anni) è la quintessenza della danza classica e la Zakharova, perfetta in ogni cosa, è stata perfetta anche qui, ma basta la perfezione tecnica per questo brano?…
Il sole è esploso con La ronde des lutins, un programma più vicino, senz’altro il più riuscito. In questo pezzo spensierato, la ballerina gioca con un paio di corteggiatori, tutti e tre vestiti con pantaloni e bretelle coordinati. Alla fine, lei li rifiuta per scappare con il violinista (suo marito!). Mikhail Lobukhin e Vyacheslav Lopatin qui hanno mostrato la loro abilità tipicamente russa, tours en l’air, grand jeté e via dicendo con tanta simpatia, che non fa male. Lo spettacolo si è chiuso con la Czardàs in cui sono ricomparsi sul palco anche Jacopo Tissi e Denis Savin facendo sfoggio dei passi più impressionanti della tecnica maschile russa. La Zakharova malgrado i pantaloni, non ha potuto rinunciare ad eseguire i suoi fouettés.
Le esecuzioni musicali
di Roberto Iovino
L’Orchestra e Repin hanno accompagnato tutte le danze (a parte alcune realizzate su base registrate) per poi inframmezzare lo spettacolo con alcune esecuzioni solo strumentali: Il carnevale di Venezia di Paganini, Introduzione e Rondò Capriccioso di Saint Saens, Divertimento per due violini e archi di Frolov (con Repin affiancato in veste solistica dall’ottimo primo violino dell’Orchestra genovese, Giovanni Fabris), Zigeunererweisen di De Sarasate e Meditation da Thais di Massenet.
Repin è violinista dalle doti tecniche eccezionali: il suo fraseggio è rapido e nitido, i pizzicati con la mano sinistra sono sorprendenti. E’ artista estroso, pirotecnico, seguirlo e assecondarlo senza un direttore e con poche prove è un’impresa pazzesca e l’Orchestra del Teatro, ben guidata dal primo violino Fabris, ha fatto miracolo per arrivare in fondo senza danni. Però, date le premesse si sarebbe potuto fare di più, magari con un direttore non direttamente impegnato con l’archetto. E poi da notare la discutibile amplificazione. Lo si è già notato in serate precedenti al Festival. Il suono è decisamente brutto, impastato, con un riverbero probabilmente eccessivo che nel brani più veloci accavalla i suoni con un esito davvero discutibile negativo.
Toscanini sosteneva che all’aperto si gioca solo a bocce. Oggi, grazie alla tecnologia, possiamo non essere d’accordo con lui. E la bellezza dei Parchi può anche compensare i limiti di una resa musicale. Però, forse, un margine di miglioramento c’è.