Una pianista che sfida le convenzioni e Stalin. E’ questa la trama di “Complice la notte” di Giuseppina Manin per Guanda che ha il grande merito di riportare alla luce la figura della pianista Marija Judina, soprannominata dalla sua città natale la “Monna Lisa di Nevel”. A compiere il miracolo la sua ostinazione, il coraggio e un concerto di Mozart nel cuore di un bosco.
“La neve cade senza tregua, copre ogni rumore, tranne quell’insistente strofinio sulla gommalacca del 78 giri, edizioni Mélodyia, ascoltato così tante notti, e anche quell’ultima. Mozart, chissà per quali vie segrete, era riuscito a giungere nella zona oscura dell’anima di Iosif Vissarionovič Džugašvili, in arte Stalin, fino a strappargli delle lacrime. Ma a turbarlo non era soltanto la musica. Era chi la eseguiva: la pianista Marija Judina. Poco nota in Occidente perché osteggiata dal regime sovietico per la religiosità estrema e la spregiudicatezza intellettuale, Marija Judina è stata una delle grandi figure del pianismo russo del Novecento”.
Così si legge e tanto basta per far capire la statura di questa artista ribelle con il volto regolare, di una bellezza enigmatica valorizzata dagli occhi verdi ed espressivi, i capelli neri corvini, il vestire austero, la croce al collo e le scarpe da tennis. Stalin resta ammaliato e vuole la registrazione del concerto: pianista e orchestra chiamate in piena notte, in particolare per Judina una somma da copogiro, cioè 20 mila rubli, che la stessa darà alla chiesa a remissione dei peccati del regime. Non le succederà nulla, e nemmeno quando interpreterà le proibite avanguardie da Stockhausen a Nono. Tuttavia la sua vita fu deludente, mai lineare: nasceva il 9 settembre 1899, in una famiglia ebrea numerosa, il debutto da pianista nel 1923 e la cacciata dal Conservatorio nel 1930, cui nulla poté la conversione al cristianesimo ortodosso, e tantomeno le amicizie scomode con Prokofiev o Pasternak oppure ancora l’amore per un alunno di 15 anni più giovane. La morte la sorprese ancora in povertà, a 71 anni, il 19 novembre del 1970.
Il ritratto di un’artista eccentrica, protagonista di tempi roventi, anche attraverso lo sguardo degli allievi tuttora viventi, con un’eroina che potrebbe benissimo essere la protagonista di un’epopea sul grande schermo, come aveva intuito e tuttavia mai realizzò Ermanno Olmi.