La scomparsa di Bussotti

Si è spento ieri, dopo una lunga malattia Sylvano Bussotti, compositore, regista, letterato, pittore. E’ morto alla vigilia della cinque giorni che la sua città di Firenze, la sua città, gli aveva preparato per festeggiarne i 90 anni.  Artista poliedrico, ex enfant terrible della musica contemporanea, allievo di Dallapiccola e ribelle alla scuola di Vienna, Bussotti ha percorso un suo itinerario stilistico, mantenendo sempre una forte coerenza intellettuale. Il pubblico genovese più “attempato” ricorderà la rappresentazione al Margherita, nel 1973 della sua opera La passion selon Sade.

Nel 1998 lo scrivente ha avuto l’occasione di intervistare l’artista. Si propone qui di seguito, in suo omaggio, uno stralcio di quella conversazione pubblicata  nell’aprile 1998 sul “Giornale della musica”.

Come è nata la sua passione per la musica e per la pittura?

Sono amori dell’infanzia. In teatro ci andavo sin da bambino: mio padre, impiegato comunale, lavorava come maschera in teatro. Ricordo il primo concerto che ascoltai: il Preludio dal Tristano. Una folgorazione. Al Teatro mi sono affezionato da allora, non potrei assolutamente farne a meno. Quanto alla pittura, mio fratello che ha sei anni più di me è pittore. Ed è stato un nostro zio, il fratello minore di mia madre, a inculcarci questo interesse. Allo zio, tra l’altro, devo il primo strumento musicale. Ricordo perfettamente cosa accadde quel giorno. Io avevo combinato chissà che cosa e le avevo buscate. Arriva lo zio e mi vado a nascondere. Lui non dice nulla, estrae dalla custodia un violino e comincia a pizzicarne le corde. Quei suoni, così improvvisi e inaspettati mi sorpresero e mi fecero uscire dalla mia “tana”. Rimasi affascinato. Sembra un racconto alla De Amicis, ma garantisco che è vero”.

I suoi maestri?

“Luigi Dallapiccola, prima di tutto; anche se me ne sono accorto tempo dopo gli ero affezionato. E poi Roberto Lupi che era in polemica con la scuola di Vienna; Una delle caratteristiche di Dallapiccola era l’ironia, che rasentava spesso la cattiveria. Probabilmente gli derivava dalla piccola statura. In realtà aveva un atteggiamento tale che lo portava a guardare tutti dall’alto. Lupi portava sempre un berretto alla Wagner. Erano figure del tutto diverse”.

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Una pagina della partitura di “Passion selon Sade”

 

I musicisti del passato ai quali è più legato….

“Ho sempre citato Mahler e non posso non farlo tuttora, anche se mi ha naturalmente infastidito la “moda” Mahler. Tuttavia debbo dire che ho nei confronti del passato un rapporto globale. Non faccio differenza, se così si può dire, tra Monteverdi e Mahler”.

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Fino a qualche anno fa, lo ha ricordato anche Lei, esistevano etichette rigide: oggi c’è forse più libertà d’azione. Qual è la sua opinione?

“Personalmente non frequento quasi più festival e teatri. Mi sembra che negli ultimi quindici anni si sia sviluppata una incredibile fame di melodia. Ma non c’è nulla di meno spontaneo di una melodia “spontanea”. Di solito si cita come esempio di melodia naturale quella dell’Inno alla Gioia. Beethoven però l’ha modificata per lunghissimo tempo prima di trovare la soluzione giusta. Io ho la pretesa di possedere una propensione melodica naturale. D’altra parte, ne sono convinto, i geni sono pochi, altrimenti non sarebbero tali….”

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Lei è un convinto assertore della fedeltà al testo e contro ogni lettura irrispettosa….

“Gli stravolgimenti nelle messe in scena (chiassosi, patetici, iconoclasti, furbi) mi hanno sempre fatto ridere perché sono indice di debolezza. In realtà se si va alla ricerca di una documentazione originale, si trovano elementi talmente stimolanti che la lettura del testo viene fuori in modo naturale”.