La elegante vitalità del Fledermaus

Il Carlo Felice ha salutato, ieri pomeriggio, il 2022 e il suo pubblico con una bella edizione dell’operetta di Johann Strauss junior, Die Fledermaus. Il lavoro, affidato alla bacchetta di Fabio Luisi è stato presentato in un nuovo allestimento dello stesso Teatro genovese in collaborazione con il Comunale di Bologna.

Bo Skovhus e Valentina Nafornita

Die Fledermaus, la freschezza di un capolavoro

Si racconta che Johann Strauss junior (primogenito figlio di Johann senior, l’autore della Marcia Radetzsky e fratello di Josef e Eduard), già famosissimo non solo in Austria per i suoi trascinanti valzer-sinfonici (da An der schönen blauen Donau a Geschichten aus dem Wienerwald da Künsterleben a Wein, Weib und Gesang) decise di dedicarsi al teatro musicale per contrastare un’eventuale “occupazione” dei teatri viennesi da parte di Offenbach, il grande padre dell’operetta francese. Al di là degli aneddoti (sarebbe stato, si dice, proprio Offenbach a esortare il collega a dedicarsi all’operetta) certo è che dopo alcune prove minori, Strauss, grazie al libretto effervescente di Carl Haffner e Richard Genée ispirato a Le réveillon di Henri Meilhac e Ludovic Halévy, creò con Die Fledermaus l’esempio più straordinario (accanto alla successiva Vedova allegra di Lehar) dell’operetta viennese, lontana dalla satira politica della produzione di Offenbach (una satira di “potere” incoraggiata da Napoleone III, ma certamente non possibile all’ombra di Francesco Giuseppe), basata sull’ironia, la freschezza e, musicalmente, sul valzer. Un gioco di equivoci, di travestimenti come è nel più puro stile del teatro comico in una incalzante successione di recitazione e di numeri musicali di splendida fattura: come nel teatro mozartiano prevalgono i concertati, a garanzia di vitalità, ma non mancano pagine solistiche di notevole bellezza, come l’aria della risata di Adele o la Czardas di Rosalinde.

Danae Kontora, la vivace Adele

Lo spettacolo

Spettacolo assolutamente godibile, quello di ieri al Carlo Felice.

Ineccepibile sul piano musicale, con qualche elemento di perplessità sotto il profilo visivo.

L’allestimento si basava sulla scena pressochè unica di Luigi Perego: un grande spazio quasi vuoto con pochi oggetti a connotare i tre atti. Un’ambientazione minimalista che se può funzionare nel primo e nel terzo atto, lascia un po’ di amaro in bocca nel secondo. La grande festa nel palazzo del principe russo Orlofsky meriterebbe un salone magnifico fra tavole imbandite e morbidi divani. Nulla di tutto questo, un paio di seggiole e gli invitati costretti a sedersi per terra. La regia di Cesare Lievi ha saputo comunque rivitalizzare l’azione, lavorando molto bene sui personaggi. Buona l’idea dei “servitori di scena” che intervengono qua e là  portando attrezzi o accendendo proiettori per isolare in un particolare momento un personaggio dagli altri.

La lettura musicale, come si è detto, era affidata a Luisi, le cui qualità sono ben note come ben nota è la sua capacità di trascinare la nostra orchestra che quando  suona con lui garantisce sempre un livello qualitativo molto alto. Lo si è avvertito  sin dalla Ouverture, un gioiello i cui temi ricorrono poi in tutta l’operetta formandone il connettivo essenziale.  Luisi l’ha dipanata con eleganza, vitalità cantabilità. Qualità emerse nell’arco dell’intera esecuzione.

L’operetta, definita da Saint Saens la figlia degenere dell’opera comica, è in realtà uno spettacolo insidioso. Usa linguaggi diversi (il canto, la recitazione, la danza) e per questo richiede artisti in grado di barcamenarsi abilmente in tutti i campi. E poi Strauss non risparmia affatto le voci, le parti di Gabriel, di Rosalinde, di Adele non sono semplici.

Tutti ieri se la sono cavata egregiamente. Bo Shovhus è stato un simpatico Eisenstein, Valentina Nafornita ha evidenziato bella voce e bella presenza nei panni di Rosalinde (applausi meritati per la splendida Czardas), Danae Kontora ha restituito una Adele eccellente, facendosi applaudire per le qualità vocali, ma anche per una recitazione vivace. E bene tutti gli altri: Deniz Uzun (l’annoiato principe Orlofsky), Levent Bakirci (Franck), Bernhard Berchtold (Alfred), Liviu Holender (Falke), Benedikt Kobel (Blind), Alena Sautier (Ida). Una annotazione per l’attore Udo Samel cui era affidata la parte di Frosch (l’addetto al carcere): un ruolo che naturalmente si presta a dar vita a siparietti comici qui ottenuti mescolando ironicamente tedesco e genovese con frequente ricorso alla nostra esclamazione dialettale più conosciuta a livello internazionale. Bene anche il coro e il corpo di ballo che ha risolto al meglio la coreografia di Irina Kashkova.

Spettacolo insomma da vedere: prima replica questo pomeriggio alle 16.