Chissà cosa avrebbe scritto Schumann che a proposito di Schubert aveva parlato di “celestiali lunghezze”, se avesse avuto l’opportunità di ascoltare le sinfonie di Bruckner! La domanda mi è sorta spontanea, ieri sera, al Carlo Felice, seguendo la splendida esecuzione dell’Ottava Sinfonia di Bruckner proposta da Fabio Luisi sul podio dell’impeccabile Orchestra genovese.
Compositore raro da ritrovare nelle stagioni sinfoniche, Bruckner ha lasciato un repertorio affascinante ed ostico insieme, difficile da decifrare anche per via di quell’appellativo che il compositore austriaco si vide appioppare per la sua dichiarata venerazione nei confronti dell’autore del Tristano: il sinfonista wagneriano.
L’Ottava ascoltata ieri, punto quasi d’arrivo dell’itinerario bruckneriano riflette appieno lo stile di un autore che certamente amò Wagner, ma che non se ne lasciò influenzare se non per pochi elementi: il gigantismo orchestrale (con un uso massiccio di ottoni: nell’Ottava pare emergere ad un tratto la citazione della morte di Sigfrido), certamente, la vitalità armonica (peraltro condivisa più o meno da tutti i compositori del tardo Ottocento in Germania). Ma il linguaggio guarda altrove e sta lì il fascino dell’Ottava come delle precedenti sue prove sinfoniche. I quattro tempi di questa partitura (ieri riproposta nella sua prima versione e non in quella che lo stesso Bruckner presentò per la prima volta in pubblico) sono costruiti su blocchi imponenti nella loro nobile espressività, nella estatica contemplazione di un “assoluto” al quale Bruckner aveva guardato nella sua lunga attività organistica.
Alla tecnica della variazione e della fitta elaborazione tematica che da Wagner e Brahms rimanda a Beethoven (da entrambi eletto a loro punto di riferimento), Bruckner oppone una dialettica non aggressiva fra elementi tematici che danno luogo a una esperienza conversativa dilatata (ed ecco il riferimento alle celestiali lunghezze schubertiane) e sostenuta in virtù di una abile controllo dell’orchestra, reattiva e duttile in tutte le sezioni con una tavolozza assai ricercata sul piano della timbrica.
L’Adagio è forse il momento culminante dell’Ottava per il dispiegarsi di elementi cantabili che si intersecano e si propagano in tutta l’orchestra in un senso di suggestiva malinconia. Splendida la lettura di Luisi per la partecipazione emotiva, per il pieno controllo della materia, per l’ineccepibile equilibrio ottenuto fra le sezioni strumentali. Orchestra in ottima forma.
Applausi calorosissimi e meritati.