Attori, Dottori o… Imbonitori?… Un viaggio all’epoca dell’Ancien Régime

“E’ morta di quattro medici e due farmacisti”, sentenzia Lisette, personaggio de “L’amour medecin” (atto II, scena I) – commedia di Jean Baptiste Poquelin, in arte Molière – alludendo ovviamente alle cause iatrogene del decesso di una ammalata.

Molière aveva scritto in soli cinque giorni questa breve commedia satirica contro i medici, andata in scena a Versailles il 14 settembre 1665. L’opera non è certo fra le più note dello scrittore francese e tuttavia è forse quella in cui più esplicitamente egli mette in burla chirurghi e guaritori, prendendo di mira in particolare il suo ex padrone di casa, medico del re, che detestava perché lo aveva costretto a traslocare, il giorno stesso del battesimo di sua figlia.

Antipatie e vicende personali a parte, è assai noto che il commediografo avesse in odio la classe medica e la ridicolizzasse in modo scoperto e impietoso. Anche in altri due lavori, “Il medico per forza” e, naturalmente, “Il malato immaginario”, Molière si ritrovò ad affrontare lo stesso tema. Il sipario dell’ultimo capolavoro, “Le malade imaginaire” appunto – e dunque di tutta la produzione teatrale molieriana – cala proprio su una scena che è un’ennesima spietata satira contro l’odiata categoria dei seguaci di Esculapio: lo scrittore li definisce mercanti di menzogne, senza far distinzione tra i professionisti ed i cosiddetti “ciarlatani” che popolavano le piazze delle città secentesche. Ma chi erano, poi, questi “ciarlatani”? Al termine è rimasto oggi il significato generico spregiativo di imbroglione ma, ripercorrendone l’etimologia, si scopre un curioso punto di incontro tra storia della medicina e storia del teatro.

Fin dal Medioevo i ciarlatani vendevano rimedi prodigiosi per le strade, esagerandone o addirittura inventandone le virtù terapeutiche e approfittando della dabbenaggine altrui. Curavano malanni non gravi, malattie nervose, affascinando con la loro vivace eloquenza il popolo ignorante e sprovveduto. La stessa medicina ufficiale non si opponeva al proliferare di queste figure, riservando per sé le branche più nobili e teoriche della disciplina – la diagnostica e la terapia medica – e lasciando ai ciarlatani e ai cosiddetti “cerusici” (anch’essi non laureati che “si arrangiavano” a praticare salassi, evacuazioni di ascessi ed estrazioni dentali) le pratiche più empiriche e materiali. In questo modo i luminari della scienza medica ammettevano che alcune attività del loro campo potessero essere esercitate anche da persone comuni: i cerusici appunto, per ciò che riguarda i piccoli interventi, e i ciarlatani, per quel che concerne i medicamenti. Spesso anzi, le due figure si fondevano in una sola: il cerusico, dopo aver eseguito l’operazione, consigliava e spacciava medicine e pozioni in relazione più o meno stretta con l’intervento portato a termine.

Nel Rinascimento, quando fiorirono i teatri di corte e nacque la commedia dell’Arte, gli astuti imbonitori, ispirandosi proprio al mondo dello spettacolo, escogitarono nuovi metodi per conferire al loro lavoro un richiamo sociale maggiore di quello che potevano conseguire solo con la personale eloquenza. Presero così a circondarsi di giocolieri e acrobati o addirittura a far precedere lo spaccio delle loro miscele portentose da vere e proprie rappresentazioni teatrali, talvolta avvalendosi anche di attori eccellenti. Avevano capito insomma, fin da allora, che la pubblicità e l’immagine fanno girare il mondo.

Nella Parigi secentesca, per esempio, andavano a ruba i filtri medicamentosi di un certo Philippe Girard, detto Mondor, che fece la sua gran fortuna proprio grazie a Jean Salomon, comico di straordinarie qualità che lo accompagnava nelle piazze. L’attore, meglio noto come “Tabarin” per via del tabar, il mantello che usava indossare, divenne così famoso che proprio dal suo pseudonimo pare abbiano preso nome i locali d’intrattenimento e cabaret francesi, i tabarin per l’appunto.

Altri ciarlatani divennero assai noti nello stesso periodo nella capitale francese, grazie alla loro eloquente inventiva e agli istrioni di cui seppero circondarsi: un certo Bary, per esempio, si vantava di aver viaggiato in Italia e di aver debellato in soli quindici giorni un’epidemia di peste, cosa che – a suo dire – gli aveva fruttato una preziosa medaglia ricevuta in dono dal Papa in persona. Bary si definiva “medico metodico, galenico, patologico, chimico, spagirico, empirico”, nonché successore in linea retta di Ippocrate ed erede dei suoi aforismi, scrutatore della natura, vincitore e flagello di tutte le pandemie” (ce l’avessimo qui oggi…).

Pure Ieronimo Ferrante, detto l’Orvietano, operava nel cortile del Palais Royal spacciando medicine ed avvalendosi della collaborazione di un guitto non meno famoso del Tabarin, di nome Galinette La Gallina. Sia Bary che l’Orvietano, infine, figurano come personaggi in una piéce del commediografo minore Boulanger de Chalussay, “L’Elomire ipocondre”, scritta nel 1670 con il chiaro intento di prendere in giro il grande Molière. Quest’ultimo infatti è presente fra i personaggi (Elomire è l’anagramma di Molière) e nella commedia si dichiara allievo dei due famosi ciarlatani. Boulanger, insomma, voleva insinuare che il rivale avesse intrapreso la carriera proprio come buffone dei due falsi medici.

Non ci sono documenti a riguardo ma non si può neppure escludere, in effetti, che Molière avesse debuttato in arte in quel modo e, anzi, si potrebbe persino presumere che egli avesse sviluppato la sua idiosincrasia per gli addetti alle discipline mediche di qualsiasi ordine e grado proprio per averne visto da vicino i trucchi e le diavolerie.

Il sodalizio fra medicina popolare e teatro continua anche nel Settecento. Tra i riferimenti in proposito citiamo solo il più illustre: Goldoni, nei suoi “Memoires”, accenna più volte ad attori che recitano nelle compagnie di ciarlatani.

Anche nell’Ottocento, infine, gli scaltri e facondi falsi medici, pur avendo perso la loro funzione di capocomici, continuarono a far parlare di sé sui palcoscenici dei teatri dell’Opera. Basti pensare a Dulcamara, personaggio dell’ “Elisir d’amore” di Donizetti, sedicente dottore ambulante che fa affari vendendo una sua ricetta per guarire ogni male (che altro non è che del buon Bordeaux). Con la sua favella brillantissima ma assolutamente vacua, elabora discorsi altisonanti e del tutto privi di senso per irretire gli acquirenti. Si definisce “benefattor degli uomini, riparator dei mali”, è un vero talento della pubblicità: “in pochi giorni io sgombero, io spazzo gli spedali, e la salute a vendere per tutto il mondo io vo’. Compratela, compratela, per poco io ve la do. E’ questo l’odontalgico mirabile liquore, dei topi e delle cimici potente distruttore. I cui certificati autentici, bollati, toccar, vedere e leggere a ciaschedun farò…”.

A questo punto il dubbio sorge spontaneo: che i veri successori dei ciarlatani siano oggi i nostri governanti? E lo mettiamo pure in rima, con i versi sdruccioli, tipici delle lasse dei bassi buffi, soggetti spesso alquanto truffaldini: gli eredi dei cerusici, che siano i politici?