“La lunga rotta dei pesci”: dalla storia ai piatti tradizionali per riscoprire la Liguria

Ci sono trattati godibilissimi travestiti da ricettario, seppur rari. Certo, Paolo Lingua, grande firma del giornalismo, scrittore e coordinatore per la Liguria dell’Accademia Italiana della Cucina, ci ha abituato a questi tesori  tra cui “La cucina del Ponente Ligure” con Silvio Torre (De Ferrari, 2003), “La mensa dei liguri” (De Ferrari, 2021), “La cucina di Omero” ( Il Melangolo, 2015). L’ultimo nato è  “La lunga rotta dei pesci, Il Pesce in Liguria: storie, ricette, curiosità” a completare  un poker storico-gastronomico iniziato due anni fa con “Pranzo di Natale”  e proseguito con “La cucina di Primavera” ed “A tavola in Autunno” sempre per De Ferrari.

Il testo provocatoriamente  parte dal famoso paradosso “Boschi senza legna, mare senza pesci, uomini senza fede, donne senza vergogna”. Le coste della Liguria hanno infatti fama di essere prive di pesci. Tuttavia la realtà sembra essere diversa e intrecciata con le difficoltà dell’attività piscatoria. E’ una storia di costume, di tecnologia, di un consumo di lusso, capriccioso, come riportava già Giovanni Rebora.

Il racconto passa dai gusti arcaici  a partire dal “terribile garum”  dell’antica Roma sino alle tradizioni nostrane come il macheto per passare ben presto attraverso tanti piatti tipici e un atipico “Anello darwiniano di collegamento tra mare ed entroterra”, cioè l’appetitosa bagna cauda.

Dai cibi della tradizione a quelli importati, la diffusione delle eccellenze del gusto vede lo “zampino” dei mercanti. Lo stoccafisso di Genova era solo norvegese, il merluzzo secco o salato scandinavo; mentre il caviale arrivava appositamente per le tavole dei conservatori di S. Giorgio, che lo consumavano nei pranzi ufficiali.  Punto di forza del volume resta però l’excursus sulle abitudini alimentari dei liguri dall’economia di sussistenza fino al periodo d’oro di Genova e via via sino al marketing che ha stravolto non solo le ricette, ma persino l’etimologia di alcuni piatti (basti pensare ai muscoli oggi per tutti cozze e così via).

Ma, in generale, cosa si deve mangiare del pesce? Ne parla Ambrogio Oderico, il medico genovese, nel “De regende sanitate consilium” e se poi si aggiungono le sapienti direttrici sugli aromi e le verdure di accompagnamento, sui vari tipi di cottura e sui segreti dell’arte culinaria il gioco è fatto.

Non poteva mancare l’approfondimento normativo dalle societates piscandi agli statuti fino alle gabelle e multe che lasciano spazio anche al pubblico ludibrio.

Si recupera la propria identità, viene l’acquolina e ci si ritrova con alcune soprese: “Sanremo e Santa Margherita non sono sempre state sinonimo di gamberoni. La moda di questo status symbol della cucina risale al 1930 per i gamberi rossi e all’Ottocento per quelli viola, per via della cattura e delle profondità poste anche a 700-800 metri” spiega lo stesso Lingua.

Diversi i riferimenti anche alla religione e a quella cucina “di strettissimo magro” tratta dal padre Gaspare Delle Piane. Ne emerge, come si può solo intuire da questo rapido e piccolo affresco, “una Liguria singolare e originale, “diversa” per dirla con Dante, percorsa dell’estremo Ponente all’estremo Levante -conclude l’autore- avendo come perno Genova, capitale dello shipping, del commercio e della finanza internazionali per un millennio. Sobria nei costumi, ma anche raffinata”.

Se già la prima presentazione, svoltasi il 18 maggio presso la Feltrinelli di via Ceccardi, è stata partecipata e ricca di spunti di riflessioni, possiamo solo pregustare le prossime…a presto cari lettori!